Nell’inchiesta Genesi, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno, il tribunale ha emesso la sentenza di primo grado per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Sono stati condannati Vincenzo Arcuri a 4 anni e 6 mesi di reclusione (concesse le circostanze attenuanti generiche), Luigi Falsetta a 4 anni e 2 mesi di reclusione, anch'egli concesse le circostanze attenuanti generiche, Pino Tursi Prato a 4 anni e 6 mesi di reclusione, esclusa la recidiva e riconosciute le circostanze attenuanti generiche. Tutti e tre sono stati assolti per un ulteriore capo d’imputazione. La pubblica accusa aveva chiesto 7 anni per tutti gli imputati.

Il processo Genesi e i fatti contestati

Il procedimento giudiziario ha rappresentato uno dei capitoli dell’inchiesta, affiancandosi al rito abbreviato che ha visto imputati di spicco come l’ex giudice Marco Petrini e il medico in pensione Emilio Mario Santoro. Il processo ha messo in luce un presunto sistema di corruzione finalizzato a ottenere decisioni giudiziarie favorevoli, con epicentro il tribunale di Catanzaro.

Il ruolo di Pino Tursi Prato

Secondo l’accusa, l’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato avrebbe cercato di corrompere Marco Petrini per influenzare la Corte d’Appello di Catanzaro in una sentenza chiave riguardante il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. La strategia difensiva di Tursi Prato era incentrata sul far annullare la condanna, ispirandosi al precedente rappresentato dal caso Bruno Contrada, l’ex agente dei servizi segreti italiani la cui vicenda aveva sollevato questioni giuridiche sulla configurabilità del reato.

Secondo la Dda, Petrini avrebbe avuto il compito di “pilotare” il giudizio della Corte d’Appello. Tuttavia, dalle indagini è emerso che il giudice avrebbe millantato questa capacità di intervento. La decisione sull’istanza presentata dall’avvocato di Tursi Prato, Stefano Giordano, era infatti già stata demandata alla magistrata Gabriella Reillo, che doveva esaminare la compatibilità del caso con il precedente Contrada.

Corruzione e sentenza Contrada

Le prove raccolte dalla Guardia di finanza hanno delineato uno scenario in cui Petrini riceveva regali attraverso il medico Santoro. In cambio, avrebbe promesso di orientare la giurisprudenza, nonostante la sua reale incapacità di influire sulla decisione finale. Per l’accusa, queste azioni hanno comunque costituito un reato di corruzione in atti giudiziari, anche se il Riesame ha escluso l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, ritenendo che le azioni fossero mosse da fini personali.

Il precedente giuridico: il caso Bruno Contrada

Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, non presente nell’ordinamento italiano all’epoca dei fatti contestati a Contrada (1979-1988), fu configurato solo con la sentenza Demitry del 1994, quando la Corte di Cassazione ne delineò i confini giuridici.

Nel 2015, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condannò l’Italia per la detenzione di Contrada, ritenendo che il reato non fosse sufficientemente chiaro e prevedibile all’epoca. Questo aprì la strada a nuove interpretazioni giurisprudenziali, come quella che Tursi Prato intendeva sfruttare per ottenere il vitalizio, annullando la sua condanna.

Ora ricorso in Appello

Il processo Genesi ha messo in evidenza una rete di relazioni e presunti accordi illeciti tra politica, magistratura e figure intermediarie. Ora gli avvocati Cataldo Intrieri e Michele Filippelli, una volta depositate le motivazioni, presenteranno ricorso in Appello. C'è da dire che la Cassazione, nel giudizio contro Petrini e Santoro, aveva annullato con rinvio la condanna ritenendo che le condotte delittuose non fossero quelle previste dal reato di corruzione in atti giudiziari ma in corruzione per l'esercizio della funzione. La difesa spera di ottenere una riqualificazione del fatto già nel processo di secondo grado.