Sono complessivamente 25 le persone fermate tra Calabria, Lombardia e Puglia (leggi QUI i nomi) indagati a vario titolo, per reati in materia di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, aggravata dalla modalità mafiosa e dalla detenzione di armi.

 

Le indagini, coordinate dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, e dal sostituto procuratore Annamaria Frustaci, hanno consentito di disarticolare un’organizzazione estremamente complessa  tra le cui fila compaiono esponenti di spicco della famiglia di ‘ndrangheta Mancuso egemone sulla criminalità organizzata vibonese che, dall’area geografica insistente tra i comuni di Limbadi e Nicotera, hanno, man mano, esteso forti interessi delinquenziali nell’hinterland milanese.

 

Nella rete degli inquirenti sono, di fatti, caduti i fratelli Salvatore Antonino, Giuseppe e Fabio Costantino, pienamente inseriti nella cosca, così come il pluripregiudicato Giuseppe Campisi, personaggio dall’elevatissimo spessore criminale, rappresentante della famiglia ‘ndranghetistica di Limbadi in Lombardia, condannato per associazione mafiosa e ritornato sulla scena del crimine dopo aver finito di espiare una lunga condanna pari a 30 anni di reclusione per un omicidio mafioso. Giuseppe e Fabio Costantino, al pari di Gaetano Muscia, risultano, tra l’altro coinvolti nella nota operazione “Black Money” che ha duramente colpito la cosca di Limbadi.

L'inchiesta

L’inchiesta, denominata “Ossessione”, in relazione alla maniacalità manifestata dai principali indagati, costantemente assillati dal pensiero di essere monitorati dalle forze dell’ordine, ha dimostrato come i vertici del sodalizio fossero in grado di disporre di diretti canali di approvvigionamento di cocaina dalla Colombia, dal Venezuela e dalla Repubblica Domenicana, oltreché dall’Olanda. Le indagini hanno consentito di accertare anche che, seguendo un’ottica prettamente imprenditoriale, l’organizzazione, in attesa dell’arrivo delle partite di cocaina dal Sudamerica, con lo scopo di massimizzare il profitto, intesseva rapporti d’affari con un personaggio marocchino residente a Milano, in diretto contatto con i principali cartelli maghrebini, per l’importazione di massicce quantità di hashish.

 

La spiccata transnazionalità dell’organizzazione, che evidenzia nuovamente l’indissolubilità del trait d’union tra la criminalità organizzata calabrese e i “cartelli” mondiali della droga ed una capillare diffusione sul territorio nazionale, fanno si che la consorteria criminale operi come una vera e propria multinazionale del narcotraffico, curando l’acquisto “all’ingrosso”, a prezzi assolutamente concorrenziali, della droga, direttamente dai produttori, per poi smistarla in territorio calabro e lombardo tramite una fitta rete di accoliti.  In tale contesto, le indagini hanno fatto registrare come i vibonesi siano in affari anche con esponenti legati al clan dei Mazzaferro di Gioiosa Ionica (RC), da anni trapiantati nel milanese e nel comasco, in grado di smistare importanti quantità di narcotico in Lombardia. Proprio a Mazzaferro Tonino i finanzieri sequestravano nel marzo del 2018 un chilogrammo di cocaina pura al 98%.

Il ruole delle donne

Un ruolo fondamentale era affidato, poi, alle donne: da “teste di ponteper le comunicazioni tra gli accoliti, a co-finanziatrici, come nel caso della cittadina albanese Kotja Elisabeta, a intermediarie di alto rango con gli esponenti dei Cartelli sudamericani. Spiccano, in particolare, le due venezuelane Garcia Rebolledo Clara Ines e Gina Forgione, estremamente note nel panorama del narcotraffico internazionale, in grado di mettere in contatto i calabresi con i narcos sudamericani.

 

Tra questi Murillo Figueroa Julio Andres, noto narcotrafficante colombiano, ospitato dai calabresi a Milano per pianificare l’arrivo della cocaina dai paesi dell’America Latina

Solo una certosina attività di indagine ha consentito di disvelare compiutamente l’assetto organizzativo del sodalizio che, sfruttando le abilità di Michele Viscotti, esperto broker di origine pugliese, più volte recatosi in Sudamerica per contrattare prezzo e quantità del narcotico da inviare verso l’Europa, curava i rapporti con i produttori.  Mentre Viscotti, dall’estero, contrattava su più fronti, in Italia, i Costantino si preoccupavano di quello che nel gergo dei narcos viene chiamato “scarico”, ovverosia la possibilità di far uscire la droga dal sedimento portuale o aeroportuale d’arrivo grazie ad “agganci” utili allo scopo. Per tale delicato compito, il sodalizio contava su un personaggio originario della provincia di Reggio Calabria, Francesco Ceravolo, in grado di far uscire il narcotico dall’aeroporto di Malpensa, evitando i controlli di rito.

Da segnalare, poi, che grazie ad una costante attività d’indagine, nonostante le estreme accortezze attuate dai trafficanti, nel mese di marzo 2018, i finanzieri riuscivano a penetrare in un deposito dove era stata stoccata la droga in Milano. Venivano, così, sequestrati oltre 430 kg di hashish, giunti in Italia dal Marocco, via Spagna, e una pistola, oggetto di furto, in uso proprio a Salvatore Antonino Costantino. Come emerso nitidamente dalle attività tecniche, gran parte della droga sequestrata era destinata a soddisfare le richieste dei finanziatori di stanza in Calabria, tra cui compare il pregiudicato vibonese Antonio Narciso.

L'hashish dal Marocco

L’ingente quantitativo di droga sequestrato, in realtà, rappresenta solo una quota parte del prodotto commissionato dai calabresi al potente cartello di stanza in Marocco, in grado di assicurare costanti ed enormi forniture di narcotico. I fratelli COSTANTINO, di fatti, stavano trattando con l’organizzazione marocchina l’acquisto di una quantità pari a 3000 kg di hashish che, secondo i calcoli degli stessi affiliati, avrebbe portato nelle tasche dell’associazione un introito che si aggirava tra i 4 ed i 5 milioni di euro, da reinvestire nell’ancor più redditizio traffico di cocaina.

 

I sodali, pienamente ingeriti nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti, hanno, inoltre, dimostrato di voler difendere i propri interessi, ove necessario, anche con le armi. Per tale scopo, un ruolo di fondamentale importanza era ricoperto da un soggetto di Varese, Carlo Cuccia, con un passato da comparsa nella nota serie “Gomorra”. Mentre nella fiction all’indagato era stato attribuito il ruolo di “specchiettista”, nell’organizzazione vibonese al personaggio era demandato il compito di reperire le armi, unitamente ad un suo compaesano, Ivo Menotta anch’egli colpito dagli odierni fermi.

 

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