È stato il 36enne di Badolato a indicare agli inquirenti il luogo dove era stato nascosto il cadavere. Gli investigatori non credono alla sua versione: sul corpo della 51enne non ci sarebbero segni di lotta o difesa
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Nella giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, un nuovo femminicidio dimostra l’urgenza di una battaglia ancora tutta da combattere. E per l’ennesima volta, il sospettato prova a ribaltare il paradigma della violenza, sostenendo di aver solo reagito ad un’aggressione, invocando la legittima difesa.
Così ha tentato di giustificarsi Sergio Giana 36enne di Badolato, fermato questa mattina all’alba dalla pm Anna Chiara Reale e dal procuratore aggiunto, Giancarlo Novelli per l’omicidio di Loredana Scalone, 51 anni. Ma non racconta questo il corpo martoriato da numerose coltellate della donna, trovata nella prima serata di ieri senza vita sulla scogliera di Pietragrande, a Stalettì. Ad indicare dove fosse nascosto il cadavere è stato il 36enne, su cui da subito si sono concentrati i sospetti dei carabinieri.
A loro si erano rivolti i familiari della vittima, di cui avevano perso le tracce da 24 ore. Gli ultimi a vederla, nella mattinata di lunedì – hanno raccontato agli investigatori – erano stati i suoi datori di lavoro, una famiglia del catanzarese presso cui da tempo Loredana lavorava come collaboratrice domestica. Da allora, di lei si erano perse le tracce.
Separata e con figli, la donna per un po’ di tempo aveva frequentato il 36enne di Badolato. Una relazione per nulla clandestina, di cui tutti erano a conoscenza e da poco terminata in maniera burrascosa. Anche per questo, quando i familiari si sono rivolti ai carabinieri, subito hanno rivelato agli investigatori il nome dell’ex compagno della vittima, così come i loro timori che a Loredana fosse successo qualcosa.
Rintracciato in tempi record e sottoposto a interrogatorio, l’uomo dopo poco ha smesso di giurare di non sapere nulla della sorte dell’ex compagna. È stato lui a indicare dove fosse il corpo, nascosto in un’intercapedine naturale della scogliera di Stalettì.
Ma fino all’ultimo ha tentato di negare le proprie responsabilità. Ai carabinieri e alla pm Reale ha provato a raccontare che era stata la donna a chiedergli un incontro per discutere della loro relazione, di cui non accettava la fine. Nella sua versione dei fatti, nel corso della discussione la donna avrebbe tirato fuori un coltello e avrebbe tentato di aggredirlo, lui – ha sostenuto – avrebbe solo provato a difendersi.
Ma nulla conferma la sua versione, a cui inquirenti e investigatori hanno creduto ben poco. Sul corpo del 36enne, sottoposto ad una rapida ispezione, non ci sono segni di lotta o difesa, neanche un graffio che confermi l’aggressione che sostiene di aver subito.
Toccherà probabilmente all’autopsia raccontare la dinamica dell’omicidio della donna, come sia stata sorpresa dalla prima coltellata, come sia stata finita, se e in che misura il 36enne sul suo corpo si sia accanito. Nel frattempo, per lui è stato disposto il fermo per omicidio, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di una persona a lui legata da relazione affettiva, per motivi abbietti e con premeditazione, e per occultamento di cadavere.