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Faide, politica, appalti. «Don Pino Strangio, nella comunità di San Luca, è ritenuto un punto di riferimento anche nelle decisioni». È il 3 luglio scorso, quando il tenente colonnello dei carabinieri, Alessandro Mucci, depone davanti al Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Silvia Capone. È una delle prime udienze corpose del processo “Gotha” e l’ufficiale dell’Arma è chiamato a rispondere alle domande non solo del collegio, ma soprattutto del pm Stefano Musolino e delle difese. A lui tocca affrontare un argomento particolarmente complesso: don Pino Strangio, la storica figura ecclesiastica, per molti anni rettore del Santuario di Polsi, il luogo in cui la ‘ndrangheta aveva stabilito il cuore dei suoi riti e delle decisioni da ratificare. Polsi, che per fortuna oggi si sta decisamente liberando di questa scomoda etichetta, per divenire solo un luogo di culto, ha rappresentato un crocevia d’interesse investigativo non solo per quanto concerne i summit di ‘ndrangheta, ma anche per le altre decisioni che lì venivano prese. Perché è a don Strangio che bisognava fare riferimento in campo politico e per i lavori da realizzare nel cuore dell’Aspromonte.
Il ruolo del sacerdote
Secondo l’accusa don Pino Strangio sarebbe stato un prete un po’ troppo aperto a questioni che poca attinenza avevano con la religione. Per i pm, infatti, sarebbe stato partecipe di un’associazione segreta di tipo massonico, al cui interno don Strangio, grazie a quell’autorevolezza conquistata sul campo, avrebbe mediato «nelle relazioni fra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘ndrangheta».
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Le origini: il ceppo familiare e i sequestri
Don Pino non è un mafioso. E non nasce da una famiglia legata a fatti di ‘ndrangheta. A dispetto del cognome che porta, don Strangio fa parte di un ceppo che non ha riconoscimenti nelle locali articolazioni criminali. Ma le sue prime vicende legate alla giustizia, risalgono addirittura al 1984, quando «durante una perquisizione a Montecatini, fu trovato in possesso di una banconota da 100mila lire, risultata provento di un riscatto per la liberazione di un sequestrato», spiega il colonnello Mucci. «Subito dopo – prosegue – ci fu una perquisizione nell’abitazione del padre di don Pino Strangio» e furono trovate altre 100mila lire, provenienti dal pagamento del riscatto pagato per la liberazione di Carlo De Feo di Napoli. Certo, non era difficile che all’epoca i soldi dei sequestri di persona potessero circolare velocemente, ma la circostanza viene comunque ritenuta significativa dal teste.
Gioffrè, una cosca “di pace”
E se è vero che San Luca è stato luogo simbolo, assieme a Platì, dei sequestri a scopo estorsivo, è pur vero che della cittadina aspromontana si torna a parlare in tutto il mondo per la celebre strage di Duisburg. I morti in terra tedesca rischiano di scatenare una carneficina senza sosta. E allora, annotano le indagini dei carabinieri nell’inchiesta “Topa”, vi è un passaggio in cui si fa riferimento ad un intervento di don Pino Strangio «in cui lo stesso avrebbe espresso una manifestazione di apprezzamento, di saluto nei confronti di esponenti della famiglia Gioffrè di Seminara, che, nella circostanza, vengono definiti uomini di pace». Proprio la cosca della piana di Gioia Tauro, infatti, fu tra quelle che si spese maggiormente per ristabilire la pace e far cessare la faida fra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio.
Calcio, accademie e ordini non riconosciuti
Ora, se certamente era un intento lodevole quello di voler lavorare per evitare altre morti, gli atti d’indagine dimostrano come diversificati fossero gli interessi di don Pino Strangio, anche in altri settori della vita pubblica. Celebre rimane l’episodio che lo vede, in qualità di presidente della squadra di calcio della Nuova Folgore, squalificato per due mesi, a causa del minuto di silenzio osservato da alcuni giocatori, dopo la morte, il 4 novembre 2009, del boss ‘Ntoni Pelle “Gambazza”. Una “responsabilità oggettiva”, in quanto massimo esponente della squadra. Sempre don Pino Strangio faceva parte dell’Accademia Bonifaciana, una Onlus in cui rientrava anche Sebastiano Nirta, l’imprenditore che si rese irreperibile nel procedimento “Italia che lavora”, per essere poi individuato pochi giorni dopo l’esecuzione del provvedimento. Nell’informativa in questione, ricorda il colonnello Mucci, compare anche un giornalista di Bovalino, Ferdinando Piccolo, e un imprenditore di Gerace Domenico Lizzi, rispettivamente segretario e delegato per la Calabria dell’Accademia Bonifaciana. L’ufficiale dell’Arma ricorda che il 18 agosto del 2013, nel corso di una cerimonia tenutasi al Santuario della Madonna di Polsi, Nirta, Piccolo e Lizzi «sono stati nominati cavalieri del Santuario di Polsi». Una nomina che arriva direttamente da don Strangio, sebbene trattati di «onorificenza non riconosciuta dalla Curia, né da altri ordinamento nazionali e/o sovranazionali». A quella cerimonia, però, erano presenti anche altre personalità insignite del medesimo titolo, come ricordato da Mucci, tramite la consultazione di fonti aperte. Oltre Lizzi, Piccolo e Nirta, risultano anche il luogotenente dell’Arma, Cosimo Sframeli, Pietro De Luca e Stefano Stefanelli.
Gli appalti al Santuario
Anche per quanto concerne i lavori da effettuare all’interno del Santuario, il riferimento doveva essere sempre don Pino Strangio. Questa volta nella sua qualità di rettore. Secondo quanto riportato da Mucci, il prete s’interessa per far realizzare all’impresa di Sebastiano Nirta (lo stesso nominato cavaliere) dei lavori in difformità da quanto era previsto. Contatti emergono pure con Nicola Romano, imprenditore condannato in appello a 17 anni di reclusione nell’inchiesta “Saggezza”. Mucci parla senza mezzi termini di una «impossibilità di fatto, da parte di imprenditori diversi da quelli di San Luca, di poter provare a vedersi aggiudicati i lavori del Santuario di Polsi, i lavori di restauro del portale, per la particolarità del contesto di San Luca». Ecco perché bisogna parlare con don Pino Strangio.
Sarra e la candidatura di Giorgi
Non solo faide. Non solo appalti. Anche politica. Era un consigliori non da poco, don Pino Strangio, secondo quanto riporta il colonnello Mucci. In occasione delle elezioni del 2010, infatti, «emerge a un certo momento della campagna elettorale che al sindaco di San Luca Giorgi Sebastiano – spiega il militare – fu prospettata da Saverio Zavettieri (ma dopo emergerà che fu Alberto Sarra a fare la proposta, ndr) la possibilità di candidarsi alle elezioni regionali e ricevuta questa... peraltro nella richiamata vicenda quindi della prospettazione di possibilità di candidarsi alle elezioni regionali nell’informativa da me richiamata del Nucleo Investigativo di Locri questo era emerso dalla censura dei contatti tra Giorgi Sebastiano e Alberto Sarra, che appunto fa riferimento alla possibilità per il Giorgi Sebastiano di candidarsi. Il dato ritenuto rilevante e pertinente nella informativa su don Pino Strangio è che Giorgi Sebastiano, acquisita la proposta di candidarsi alle elezioni regionali per prima cosa chiama don Pino... cioè, decide di interpellare Don Pino Strangio in ordine a questa possibilità di candidarsi, peraltro anche con una certa urgenza, dovendo dare il Giorgi Sebastiano ad Alberto Sarra una risposta entro l’indomani mattina». Per Mucci, dunque, viene fuori la figura di don Strangio anche «nei processi decisionali e nelle scelte politiche dell’allora sindaco di San Luca».
Rosy Canale e quel pacchetto di voti da comprare
Sempre in tema di politica, ecco emergere anche un riferimento a Rosy Canale. Si trae dagli atti dell’inchiesta “Inganno”. In particolare, si tratta di un dialogo fra la Canale e il padre che, nella dinamica delle elezioni regionali, nel momento in cui era in atto l’attività d’intercettazione, ricorda Mucci, era potenzialmente candidata nella lista di Saverio Zavettieri. Discutendo «sulle sue reali possibilità di essere eletta e in particolare al bacino di voti a cui avrebbe potuto attingere nella comunità di San Luca, dove lei era attiva con la realizzazione della ludoteca presso il centro Enel Cuore, realizzato nel bene confiscato alla famiglia Pelle Gambazza di Contrada Giardino, Rosy Canale appunto fa i suoi, i propri conti sui voti che avrebbe potuto raccogliere a San Luca e diciamo nel definire la sua strategia politica dice che a un certo punto, nella discussione con il padre lei aveva una somma di denaro a disposizione di 10 mila euro da spendere per la campagna elettorale per le elezioni e discute che all’ultimo momento se le cose non fossero andate come dovevano per quanto riguarda il conseguimento di voti, con questi 10 mila euro avrebbe potuto anche comprare un pacchetto di voti. E a tale affermazione il padre Angelo risponde dicendo che avrebbe dovuto dare 5 mila euro a Don Pino e 10 mila euro a un capo bastone per raggiungere con questa operazione almeno 2000 voti». Rosy Canale, però, a quelle elezioni non parteciperà, ritirando in anticipo la sua candidatura.
Consolato Minniti