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E’ deceduto in serata nel carcere di Secondigliano Cosimo Caglioti, 30 anni, di Sant’Angelo di Gerocarne, detenuto per i procedimenti nati dalle operazioni antimafia della Dda di Catanzaro denominati “Gringia” e “Romanzo criminale”. Condannato a 30 anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro il 20 febbraio scorso al termine del processo “Gringia” ed a 13 anni in primo grado dal Tribunale di Vibo nel processo “Romanzo criminale”, Cosimo Caglioti era stato trasferito da qualche mese nel centro clinico del carcere di Secondigliano proveniente dall’istituto penitenziario di Cosenza. Intenzionati a volerci vedere chiaro sulla morte del congiunto sono i familiari di Cosimo Caglioti appena appresa la notizia del suo decesso. L’esame autoptico servirà a capirne di più sulla scomparsa del giovane, coinvolto nella faida che ha visto il clan Patania di Stefanaconi (a cui Cosimo Caglioti era ritenuto legato avendo sua sorella Caterina sposato Nazzareno Patania) schierato contro contro il clan Bartolotta da un lato ed i Piscopisani.
Per l’avvocato Luca Cianferoni del foro di Roma, che ha assunto la difesa di Cosimo Caglioti affiancando il collega Enzo Galeota del foro di Catanzaro, ci si trova dinanzi ad un decesso che “impone rispetto e silenzio sin quando non verranno chiarite le cause della morte. Il caso Caglioti – ha però affermato l’avvocato Cianferoni, in passato legale anche di Totò Riina – è comunque gravissimo e da tempo come difensori aspettavamo la consegna di una consulenza medica che non è stata però ancora depositata. Il decesso in carcere di Cosimo Caglioti impone una serie riflessione da parte di tutti su uno Stato di diritto che non garantisce il diritto alla vita e fa di tutto per lasciare in galera anche persone con gravi problemi di salute. Il “prigioniero” è sempre sacro – ha concluso il legale – e la morte di Caglioti reclama una ragione”.