Vibo Valentia e le provinciali del 2004: il fratello del boss di Stefanaconi assassinato candidato nella lista civetta del centrosinistra. A Sant’Onofrio, invece, i Bonavota si crogiolavano per i risultati ottenuti. Le intercettazioni nella Mercedes di Andrea Mantella
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«Come, cazzo! Fai il boss, presenti un fratello e ti prende quaranta voti? Trentacinque qui al paese suo, li hanno presi tra parenti qui… La famiglia di Nato e la sua e nessun altro…». Le liste civiche, civetta, ma pure quelle di partito, hanno sempre imbarcato chiunque. Alle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale di Vibo Valentia del 12 giugno 2004, quando l’ente – prima del suo collasso finanziario e della riforma Delrio – aveva una capacità di spesa da paura ed peso politico enorme, il Movimento per il Futuro schierò tra i suoi anche Giuseppe Patania, fratello del boss Fortunato, il cui assassinio, il 18 settembre 2011, segnò il punto di non ritorno dalla guerra di mafia che terrorizzò il Vibonese negli anni successivi. Estraneo alle vicende della faida e alle inchieste giudiziarie che ne scaturirono, il candidato dallo scarno consenso elettorale, è fratello di un altro pezzo da novanta (almeno secondo la Procura antimafia di Catanzaro, che per lui ha chiesto 24 anni di carcere nel maxiprocesso Rinascita Scott), Salvatore.
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Gli interlocutori
I Patania, espressione di una ‘ndrangheta arcaica, coppola e lupara, pecore e soppressate, forse non avevano chissà quale interesse o, forse, al paese loro, Stefanaconi, almeno in quel periodo non li filava nessuno. La sera dello spoglio, Andrea Mantella, allora capo di un gruppo criminale che mirava a scalzare i Lo Bianco-Barba da Vibo Valentia e a sfidare lo strapotere dei Mancuso nell’intera provincia, era nella sua Mercedes con Nicola Bonavota, fratello minore dei due vertici del clan di Sant’Onofrio, Pasquale e Domenico, anch’essi riottosi al gigante ‘ndranghetista di Limbadi e Nicotera.
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La listarella dallo 0,81%
Mantella e Bonavota, i cui gruppi di fuoco avevano da poco decapitato la famiglia rivale dei Cracolici egemone tra Maierato e Filogaso, commentavano i risultati. Il Movimento per il futuro altro non era che una listarella che doveva portare acqua al mulino del centrosinistra, all’epoca guidato dal potentissimo presidente della Provincia uscente Gaetano Bruni. Chiuse la tornata con un miserrimo 0,81%, mentre la coalizione, trascinata dalla vecchia Margherita, forte di addirittura sedici liste, sbaragliò il centrodestra con il 61,56% dei consensi. I due interlocutori erano intercettati dalla Procura di Vibo Valentia che aveva fatto installare una cimice nell’auto di Mantella. All’epoca, lasciavano intendere, la mala scelse di puntare sul cavallo potenzialmente vincente sin dalla vigilia e quindi di votare per il centrosinistra. I Bonavota, in particolare, votarono e fecero votare i loro paesani. Gli intercettati dileggiavano i Patania per i magri risultati ottenuti nel loro feudo, mentre a Sant’Onofrio le cose erano andate molto diversamente. Chi aveva bussato da loro – dicevano –, eletto o meno, aveva avuto soddisfazione.
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«Ci deve dispiacere»
Mantella, d’altronde, su qualcosa era perplesso: «Certo – diceva – che come paese non è… Non è tenuto bene». Bonavota concordava. In fondo, spiegava: «Quasi tutta la provincia di Vibo là sono di Sant’Onofrio». Ma c’era un altro motivo di rammarico per l’allora killer vibonese che dodici anni dopo sarebbe passato clamorosamente tra le fila dei collaboratori di giustizia: «Onestamente per Luciano ci deve dispiacere [..] Comunque qua a chi si è rivolto qua a Stefana… A Sant’Onofrio non è che ha fatto brutta figura eh, chi lo ha portato avanti, eh!». Luciano viene identificato dagli inquirenti in Alfonso Luciano, medico legale, candidato con la Margherita, il partito di maggioranza relativa, che incassò 591 voti. Un gran risultato, ma non sufficiente. Bonavota lasciava intendere chiaramente come i suoi lo avessero appoggiato, pur dividendo i voti in grado di gestire con un altro candidato, qualche anno dopo deceduto.
Un appoggio «molto incerto»
Questa vicenda affiora dall’indagine Maestrale-Cartagho, nell’ambito della quale la Procura antimafia di Catanzaro aveva chiesto al gip distrettuale l’emissione di una misura restrittiva a carico dello stesso Luciano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Richiesta rigettata perché – scrive il giudice Filippo Aragona - «non può ritenersi sussistente la fattispecie contestata in quanto egli non era un punto di riferimento stabile per le cosche mafiose sopra indicate e non ne ha determinato il rafforzamento sul territorio in cambio di vantaggi personali (né il dato molto incerto dell’apporto elettorale che egli avrebbe ricevuto nel lontano 2004 può essere considerato un vantaggio tipico perché si possa configurare la fattispecie di concorso eventuale nell’associazione)». Le altre singole condotte eventualmente perseguibili sul piano penale andrebbero invece a configurare, risultando non inserite in un quadro unitario, «ipotesi di favoreggiamento personale o di reati contro la pubblica amministrazione».
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Le autopsie sui rivali dei Bonavota
Al di là degli aspetti penali, d’altronde, anche in questa nuova inchiesta firmata dai pm Antonio De Bernardo, Andrea Buzzelli e Annamaria Frustaci, emerge chiaramente quanto le cosche siano attente, interessate e, soprattutto, coinvolte nelle vicende politiche. Ed è singolare un dato squisitamente storico, che però restituisce la nebulosità del contesto scandagliato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e nel quale si muovevano i personaggi finiti nelle indagini. Siamo nel 2004, dunque. Le elezioni provinciali si svolsero a giugno, il giorno 12. I Bonavota ed il gruppo Mantella, appena il mese precedente, il 4 maggio, avevano trucidato il boss Raffaele Cracolici, il medico legale incaricato dalla Procura di Vibo ad eseguire l’autopsia fu proprio Alfonso Luciano, della cui mancata elezione (pur «molto incerto», secondo il gip, l’appoggio elettorale della ‘ndrangheta) gli intercettati si rammaricavano. Lo stesso professionista, nel febbraio di due anni prima, eseguì l’autopsia sul corpo di Alfredo Cracolici (fratello di Raffaele), altra vittima della guerra di conquista innescata dai Bonavota. Per completezza d’informazione precisiamo che mai alcuna contestazione è stata sollevata sulle qualità delle perizie in questione.