Che collegamento c’è fra il cosiddetto “golpe dell’Immacolata” del 1969, gli anni di piombo e le stragi siciliane e continentali degli anni ’90? Come ed in che modo si saldarono Cosa nostra, ‘ndrangheta, massoneria deviata, eversione nera e pezzi infedeli dello stato, creando dei circuiti tesi a sovvertire la Costituzione italiana, provando ad instaurare regimi diversi? A dare una risposta a questi complicatissimi quesiti è stato il sostituto commissario, in servizio alla Dia, Michelangelo Di Stefano al processo tenutosi oggi nell’aula del cedir di Reggio Calabria, che vede imputati Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano quali mandanti degli agguati ai danni dei carabinieri Fava e Garofalo e del tentato omicidio di altri militari in quella che viene definita come strategia stragista mafiosa. La narrazione di Di Stefano vede alcuni personaggi come fili conduttori di tutti questi fatti citati in precedenza: in primis gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano e poi la famiglia Matacena. È a loro sostanzialmente che viene fatto riferimento nella lunghissima informativa dell’ufficiale della Direzione investigativa antimafia.

Calabria Libera omologa alla Sicilia

Il racconto parte proprio da quei movimenti separatisti che avevano in animo la realizzazione di un progetto che prevedesse la separazione delle regioni meridionali da quelle settentrionali. In primis Calabria e Sicilia, e poi anche la Campania. Ed è qui che giungono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia calabresi Filippo Barreca e Pasquale Nucera, che ovviamente Di Stefano non può riferire in aula, ma a cui può solo fare cenno, in virtù del fatto che saranno poi gli stessi collaboratori a trattare tutto nei dettagli. Ma le loro dichiarazioni si possono già leggere negli atti depositati.

Romeo figura dominante

Secondo il pentito Barreca, Paolo Romeo sarebbe stata una figura centrale nel panorama criminale calabrese, «l’anello di congiunzione tra la struttura mafiosa e la politica» per la Calabria, nonché elemento di collegamento fra Cosa nostra siciliana e la ‘ndrangheta reggina. L’ufficiale della Dia spiega come Barreca indichi Romeo come massone, appartenente alla struttura Gladio e collegato con i servizi segreti ed era «interessato ad un progetto politico – dice Barreca – che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese». La regia di tale disegno criminale era a Milano dove era avvenuto – a dire di Barreca – un incontro fra i clan calabresi facenti capo ai Papalia ed esponenti di Cosa nostra siciliana.

Il summit di Polsi del 1991

È invece il pentito Pasquale Nucera a riferire della riunione annuale di Polsi che si tenne il 28 settembre 1991, a cui parteciparono, oltre alle famiglie di ‘ndrangheta, anche alcuni rappresentanti di famiglie napoletane, esponenti calabresi provenienti da Canada, Australia e Francia, Rocco Zito, in rappresentanza di cosa nostra americana e un personaggio di Milano, definito come un “colletto bianco”, legato alla mafia siciliana e calabrese. Questo personaggio aveva detto che ci sarebbero stati degli sconvolgimenti in Italia, per questo era necessaria la pacificazione fra le cosche calabresi. L’obiettivo era creare un “partito degli amici”. Il potere politico si sarebbe conquistato con un programma diviso in due fasi: una prima in cui si doveva eliminare fisicamente quegli esponenti dello Stato che impedivano alla mafia di realizzare il suo potere e una seconda di destabilizzazione, attraverso una strategia del terrore. Ma chi era quest’uomo? Nucera non ha dubbi: era tale Giuseppe o Giovanni Di Stefano, poi compiutamente identificato in Giovanni Di Stefano.

Chi è Di Stefano?

«Si tratta di un italiano – spiega Nucera – amico di Milosevic, leader militare della Serbia. È un personaggio molto importante che gestisce il traffico di scorie radioattive e la fornitura di armi militari a paesi sottoposti ad embargo, principalmente la Libia». Nucera prosegue affermando che «bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la Dc in quanto la stessa non garantiva protezioni e appoggi del passato». A quel summit era presente, anche se defilato, Amedeo Matacena junior “il pelato”, appartato con Antonino Mammoliti di Castellace. E quanto a Di Stefano, emerge da alcune acquisizioni come lo stesso fosse legato a finanzieri serbi e ad esponenti politici vicini all’ex presidente serbo Milosevic, nonché amico del criminale di guerra Zeljico Razjatovic, meglio conosciuto come comandante Arkan.

Il profilo di Romeo

«Dagli accertamenti svolti dalla D.I.A. – si legge nell’informativa oggetto di analisi – è emerso che Paolo Romeo è stato esponente dell'estrema destra sin dagli anni '70 (allorché militava in Avanguardia Nazionale), anello di congiunzione tra la mafia reggina e la politica, massone, ritenuto anche legato a settori dei Servizi Segreti. Nel 1980 venne arrestato su mandato di cattura del G.I. di Catanzaro in quanto imputato di favoreggiamento in favore di Franco Freda. Romeo era accusato di averlo aiutato nel 1979 quando Freda, imputato della strage di Piazza Fontana, fuggì dal carcere di Catanzaro. Romeo, infatti, gli procurò diversi nascondigli, fra i quali la casa dello stesso collaboratore Filippo Barreca, ove il Freda venne accompagnato dal Romeo e rimase per circa quattro mesi. Da altre risultanze, comprese le dichiarazioni del collaboratore di giustizia calabrese Giacomo Lauro. è emerso: che il Romeo, nell'ambito della sanguinosa guerra di mafia tra i De Stefano- Tegano-Libri e gli Imerti-Condello-Serraino, restò saldamente schierato con i De Stefano, occupando all'interno della cosca ruoli sempre di maggior rilievo, sino a diventarne il numero uno, dopo l'arresto del suo leader, l’avvocato Giorgio De Stefano; che il suo ruolo era di offrire alle cosche calabresi, dalle quali riceveva forti appoggi elettorali, protezione politica e giudiziaria, favorendo anche mafiosi latitanti, grazie alle sue "entrature"; che egli entrò in contatto con i clan mafiosi catanesi allorquando si trasferì da Reggio Calabria a Catania, ove allacciò rapporti con i Ferrera e Santapaola: che la sua opera di intermediazione fu decisiva per la pacificazione tra gli schieramenti contrapposti dei clan calabresi; che egli, proveniente dalle file dell’eversione nera (da studente militò in Avanguardia Nazionale, prendendo parte attiva all'insurrezione di Reggio Calabria), nel 1970 si fece promotore dell'incontro tra il golpista Junio Valerio Borghese ed il gruppo mafioso dei De Stefano, facendo in tale contesto da tramite per le richieste di appoggio ai progetti eversivi, avanzate dalla destra extraparlamentare e proprio da Junio Valerio Borghese alle organizzazioni mafiose. Specifico riscontro alle dichiarazioni di Barreca circa il ruolo di Romeo nel piano eversivo-secessionista deriva anche dall' accertamento dei suoi stretti rapporti con l'avv. Giuseppe Schirinzi (anch'egli in passato militante di Avanguardia Nazionale), Presidente della Lega Sud Italia costituita nel 1990 a Reggio Calabria». Secondo i pentiti Lauro e Barreca, dunque, Romeo farebbe parte della massoneria, appartenente alla struttura Gladio, nonché legato ai servizi segreti. Proprio il pentito Barreca dichiara di aver partecipato ad alcuni incontri «avvenuti a casa mia tra Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano. Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta nella quale dovevano confluire personaggi di ‘ndrangheta e della destra eversiva e precisamente Freda, l’avvocato Paolo Romeo, l’avvocato Giorgio De Stefano, Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefè Zerbi. Altra loggia dalle stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania».

L’indagine su Sicilia libera e Forza Italia

Per quanto concerne Sicilia libera, è soprattutto il collaboratore Tullio Cannella a riferire circa la vicenda della genesi della formazione politica e dei suoi rapporti con Cosa nostra. Cannella spiega che Sicilia libera nacque principalmente per iniziativa di Leoluca Bagarella che aveva intenzione di fondare un soggetto politico nuovo, direttamente controllato da Cosa nostra, in quanto i vecchi politici avevano tradito la promesse fatte all’organizzazione. Ma qual era l’obiettivo finale? La separazione della Sicilia dal resto d’Italia al fine di tutelare meglio gli interessi di cosa nostra. Bagarella agiva con il benestare di Giovanni Brusca e dei fratelli Graviano. Tuttavia, ben presto, l’interesse verso questo movimento scemò, visto che i vertici della mafia siciliana avevano deciso di appoggiare Forza Italia. A riscontro di ciò, si legge nell’informativa, Edoardo La Bua, dopo l’abbandono del progetto di Sicilia libera, cercò di riciclare le risorse mobilitate all’interno di Forza Italia, tanto che divenne responsabile di un club palermitano di FI, denominato “Forza Italia-Sicilia Libera”, club rimasto attivo sino al febbraio 1995. Come emerge anche dalle annotazioni trovate nell’agenda di Marcello Dell’Utri, fra i fondatori di Forza Italia.

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