Paure, dubbi, ansie. Di perdere la casa o l’attività di famiglia. Ma non solo: «Quanto può essere valutato il privilegio di svegliarsi tutte le mattine davanti a questa meraviglia?». Aldo Boccaccio se lo chiede tutti i giorni. Il suo ristorante (quasi un’istituzione a Cannitello) affacciato sul lungomare che verrà tagliato in due dalla costruzione dei giganteschi piloni del ponte, è situato proprio all’interno di quello che potrebbe essere il futuro cantiere che incombe su Villa San Giovanni. Così come il suo albergo e la sua stessa abitazione, proprio di fronte al monumento al pescatore di pesce spada. «Con noi, tra casa e attività hanno fatto strike - racconta a LaC News24 - ma aldilà degli indennizzi che potremmo ricevere e su cui ancora non sappiamo nulla, non ci risarciranno mai del danno che faranno a quegli imprenditori come noi che da 50 anni sono sul territorio e che in tutti questi anni hanno lavorato duramente».

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L’accelerazione al progetto di attraversamento stabile con la Sicilia imposta l’anno scorso dal ministro Salvini, è solo l’ultima, in ordine di tempo, che i villesi vivono sulla propria pelle. E tutte le volte, il copione si ripropone uguale a se stesso. «Vista la mia età – dice sorridendo amaramente – non credo che vedrò mai il ponte, ma noi da anni viviamo come in un limbo, come sospesi. Mi sento quasi uno zombie, che non sa cosa fare, come muoversi, come progettare il futuro».

E se il futuro appare incerto, sul presente già si ripercuotono gli effetti negativi del possibile cantiere. «Quando la Stretto di Messina parla pubblicamente di imminente apertura dei cantieri - dice ancora Boccaccio riferendosi al piccolo albergo 3 stelle che gestisce con la famiglia - questa cosa ha ripercussioni sui turisti. I turisti che vengono da noi amano questo posto e la sua verginità ambientale. La bellezza dello Stretto è unica e rara, e i turisti vengono per quel motivo. Ma quando sentono di apertura dei cantieri pensano: che vado a fare a respirare polvere al posto di iodio e bellezza? Non ci sono più arrivate prenotazioni».

Centocinquanta gli edifici che verranno tirati giù nella sola Villa San Giovanni per fare posto al maxi cantiere di un’opera su cui si fantastica da quasi due secoli. Prime abitazioni, attività commerciali e case vacanze (spesso affittate anche durante i mesi invernali) tra la zona alta del paese dove verranno sistemati i cavi d’ancoraggio e il lungomare che sembra allungarsi fino a Capo Peloro, dall’altra parte dello Stretto.

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La casa di Giovanni Calabrò si trova proprio dove dovrebbe sorgere uno dei due piloni alti quanto lo erano le Torri Gemelle di New York. C’è anche il suo nome tra quelli che la società Stretto di Messina ha depositato in Comune la settimana scorsa. Anche Calabrò, come tanti cittadini villesi, si ritrova per l’ennesima volta con l’incubo di poter perdere la casa, lo studio e il B&B che gestisce assieme alla sua famiglia. Ma il danno economico che potrebbe venire dagli espropri, è solo uno dei lati della medaglia: «L’indennizzo che ci spetterebbe per l’esproprio delle nostre proprietà – racconta nel suo studio affacciato sul mare - non copre comunque quello che è il danno provocato all’anima. Ti fa stare male. Io apro la finestra di casa ogni giorno e vedo lo Stretto che ogni giorno è diverso dal giorno prima: una volta ci sono i delfini, un’altra il mare è agitato, altre volte passano le balene o saltano i tonni. È questa bellezza, fa parte dell’anima, che viene a mancare. Che mancherà». E sono proprio le ripercussioni che i cantieri potrebbero avere su un ambiente unico come quello dello Stretto a preoccupare chi, quel pezzetto di Paese, lo vive tutti i giorni. «Questo posto non sarà più quello di prima – racconta ancora Calabrò temendo il riproporsi di quanto accadde nel 2011 – lasceranno un territorio devastato. E con i precedenti che abbiamo avuto non credo molto alle opere complementari di cui si parla. Un esempio sono i lavori fatti per spostare la ferrovia: avrebbero dovuto riempire e fare un giardino e ci hanno lasciato questa opera incompleta. Belle parole, belle chiacchiere e poi hanno lasciato questo scempio. E quella doveva essere la prima pietra del ponte, la prima opera che Ciucci è venuto a inaugurare nel 2011».