Dal cortocircuito giudiziario a quello aritmetico. E ora, l’ergastolano Domenico Paviglianiti è di nuovo libero. Per sempre? Sembrerebbe di sì, a leggere il provvedimento del giudice che lo ha scarcerato. Ma mai esserne troppo certi. Cosa è accaduto, dunque? Come si ricorderà nell’agosto scorso Paviglianiti era stato scarcerato per un pasticcio giudiziario relativo alla violazione di un patto di estradizione fra Italia e Spagna. Ventiquattro ore dopo, però, la magistratura lo aveva nuovamente messo in cella, evidenziando un errore nel calcolo della pena ancora da scontare. Ora, a seguito del ricorso dei suoi legali, si scopre che no, quella prima ricostruzione era corretta, e Paviglianiti andava scarcerato. A riferire questa singolare circostanza è il Corriere della Sera. 

Chi è Paviglianiti

Domenico Paviglianiti è un boss sanguinario che ha sul groppone una quantità di anni di carcere pari a 168 anni. L’uomo è stato ricercato per associazione mafiosa e traffico di droga e bazooka, nonché coinvolto nel 1990 nell’assassinio a Tradate (Varese) del figlio del capo della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo (all’interno di uno scambio di favore con la ‘ndrangheta). Paviglianiti viene catturato in Spagna il 21 novembre del 1996 ed estradato il 17 dicembre 1999 in Italia.

Il problema con la Spagna

Proprio quel suo arresto in territorio iberico porta ad una serie di conseguenze. Prima fra tutte la necessaria estradizione, alle condizioni che la Spagna detta in base alle sue norme interne in tema di esecuzione della pena. All’epoca, a Madrid, non vigeva il “fine pena mai”. Succede allora che, il 14 marzo del 2006, il ministero della Giustizia italiano si impegna a garantire che l’ergastolo «non implica che i condannati debbano comunque restare detenuti in carcere per tutta la vita». Com’è noto, infatti, possono usufruire di permessi premio, della semilibertà o della liberazione condizionale. Una volta estradato in Italia, però, Paviglianiti ha una prima sorpresa. La procura generale di Reggio Calabria, infatti, il 12 luglio del 2012, fa scattare una norma che applica l’ergastolo a chi abbia più di due condanne superiori a 24 anni. Nel caso di Paviglianiti esse sono 4 a 30 anni di galera. Ma c’è un ulteriore aspetto da rimarcare. Nei confronti del boss viene applicato anche il cosiddetto “ergastolo ostativo”, utilizzato per i reati previsti dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Una norma, la cui applicazione è oggi limitata dalla recente sentenza della Corte costituzionale, in tema di soli permessi premio. 

La prima scarcerazione

Sta di fatto che gli accordi con la Spagna devono essere rispettati, così come rimarcato dagli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori. La Cassazione affida al gip di Bologna il compito di sbrogliare un caso giuridico complesso, fissando un incidente di esecuzione. Servono ben dieci mesi al giudice Gianluca Petragnani Gelosi per evidenziare come «le modalità detentive dopo l’applicazione dell’ergastolo abbiano certamente frustrato le aspettative della Spagna nel momento in cui accordava l’estradizione». Insomma, «è stato violato il principio di buona fede internazionale da parte dello Stato italiano, che alla Spagna doveva dar conto della norma restrittiva dell’articolo 4 bis». Senza considerare che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’ergastolo ostativo. L’effetto della decisione del gip è a cascata: se la detenzione massima è 30 anni, e non contando il cumulo materiale delle pene che qui è 168 anni, ne viene fuori come Paviglianiti ne abbia scontati 23. Se ne devono contare 3 e mezzo «fungibili ad altro titolo», 3 anni di indulto, e 1815 giorni di liberazione anticipata. Ecco come Paviglianiti ha superato già la soglia dei 30 anni e, per lui, si sono spalancate le porte del carcere.

L’immediato ritorno in cella

Ma la gioia, per Paviglianiti, dura lo spazio di un giorno. Lo stesso giudice che lo aveva scarcerato fa ammenda: «Mi sono sbagliato». La ragione sta in un differente ricalcolo, basato sulla circostanza che, fuori dalle garanzie previste dall’accordo di estradizione, vada considerata una condanna per partecipazione ad associazione a delinquere che nell’imputazione formale arrivava sino al 2001, nonostante Paviglianiti fosse in cella dal 1996. Questo residuo di pena, riferibile a condotte successive all’estradizione, porta ad un ricalcolo del cumulo delle pene, facendo schizzare la fine dell’espiazione al 2027. Paviglianiti saluta amici e parenti e torna in cella. 

Il ricorso e la libertà

I legali di Paviglianiti non si danno per vinti. Preparano il ricorso e contestano quel nuovo ricalcolo, evidenziando come, quella vecchia condanna non appaia assolutamente un elemento di novità sopraggiunto, ma sia stata regolarmente ricompresa nel primo computo di pena. Il gip concorda con la difesa: quella sentenza, non solo era stata valutata nel primo calcolo del 2002, ma anche considerata dal gip che commutò l’ergastolo in 30 anni. Per il giudice, era questa la decisione da impugnare. Cosa che la Procura non ha mai fatto. 

Paviglianiti, dunque, da due settimane, è un uomo libero. Almeno fino al prossimo eventuale riconteggio.

 

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