Una vera e propria esecuzione di stampo ‘ndranghentista. Il 51enne raggiunto da diversi colpi di pistola mentre parcheggiava l’auto sotto la casa in cui viveva pagata dal ministero degli Interni
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Un'esecuzione di stampo 'ndranghetista nel centro storico di Pesaro. È la pista privilegiata dagli investigatori per l'uccisione di Marcello Bruzzese, 51 anni, originario della Calabria, fratello di un collaboratore di giustizia. Era scampato a un agguato nel 1995 a Rizziconi di Reggio Calabria in cui morirono il padre Domenico e un cognato, il marito di una sorella, mentre lui rimase gravemente ferito. Verso le 18:30, due killer incappucciati hanno atteso che parcheggiasse l'auto in garage in via Bovio, dove abitava con la famiglia da tre anni, per scaricagli addosso una trentina di colpi di pistola calibro nove, di cui almeno 15 andati a segno, quando ancora era nell'abitacolo della vettura e apprestava a scendere. Il collegamento tra la parentela di Bruzzese con il pentito e l'omicidio non è ancora chiaro. A coordinare le indagini dei carabinieri, con i pm di Pesaro Fabrizio Narbone e Maria Letizia Fucci, ci sarà comunque Daniele Paci della Dda di Ancona che si occupò dei delitti della Uno bianca.
Bruzzese non era a Pesaro per scelta ma perché sottoposto a uno speciale programma di protezione in quanto fratello di collaboratore di giustizia, Girolamo Biagio Bruzzese, 'ndranghetista, diventato nel 2003 collaboratore di giustizia dopo aver tentato di uccidere il capocosca. Le sue testimonianze, infatti, hanno permesso ai magistrati di conoscere i legami tra la cosca Crea e alcuni politici locali.
Ora è caccia ai due killer. Nella notte c'è stato un vertice in tribunale, al quale hanno partecipato il capo della procura pesarese, Cristina Tedeschini, i sostituti procuratori Fabrizio Narbone e Maria Letizia Fucci e Daniele Paci, della Dda di Ancona: un pool di magistrati per andare a fondo su autori, mandanti e movente dell'omicidio.
Marcello Bruzzese non aveva un lavoro e riceveva uno stipendio dal ministero degli Interni. Una persona gentile e riservata, secondo i vicini di casa, che lo vedevano fare colazione in un bar del centro città o frequentare abitualmente la chiesa.
Secondo quanto si è appreso, nel programma di protezione erano stati inseriti sia la sua famiglia che quelle dei suoi parenti più stretti, che nella notte sono state precipitosamente trasferiti in altre città. «Sembravano dei petardi», hanno raccontato i vicini di casa a carabinieri e polizia che sono intervenuti subito dopo il delitto: in realtà erano una trentina di proiettili sparati dai due killer, che hanno agito a volto coperto, velocemente e in base a un piano ben studiato.