Storie di ’ndrangheta

«Ecco i nomi dei boss che avevano rapporti con i servizi segreti deviati»: il pentito Cuzzola svela i retroscena del patto

Le trame misteriose ricostruite nei verbali finiti nelle motivazioni della sentenza per il delitto Mormile. Lo scontro nei clan per i legami con gli 007: «Libri li voleva mantenere, Paviglianiti no e penso di sparargli». Le notizie riservate veicolate ai Papalia di Platì

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di Pablo Petrasso
21 giugno 2024
07:15
Dall’alto, Domenico Papalia e Domenico Libri
Dall’alto, Domenico Papalia e Domenico Libri

«Che i Papalia avessero rapporti con i servizi segreti lo sapevano tutti nella ’Ndrangheta anche ben prima dell’omicidio Mormile. In realtà i rapporti con i Servizi ce li hanno da sempre non solo i Papalia, ma anche tanti altri esponenti della ’Ndrangheta, quali Domenico Libri, Paolo De Stefano, Filippo Barreca e i Barbaro».

Nino Cuzzola, pentito che si è autoaccusato del concorso nell’omicidio di Umberto Mormile, educatore carcerario di Opera che aveva capito troppo dei rapporti tra clan e 007 deviati, ricostruisce nei suoi verbali il presunto patto criminale. Dalla Locride a Reggio Calabria, i boss avrebbero trovato un equilibrio con gli apparati deviati dello Stato. Oltre ai nomi, il collaboratore di giustizia racconta episodi nei quali, a suo dire, emergerebbe la sostanza di quei rapporti. Quei racconti sono finiti nelle motivazioni della sentenza del processo Mormile.


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’Ndrangheta e Servizi, lo scontro tra Libri e Paviglianiti

Cuzzola colloca il primo episodio nel dicembre del 1989: il boss Domenico Paviglianiti, ai domiciliari in Calabria, gli chiede di raggiungerlo dalla Lombardia. Il pentito si accorge che qualcuno lo sta seguendo e prova a sfuggire: si dirige prima a Bari e poi a Cosenza prima di rimettersi in viaggio per il Reggino. La manovra non riesce ma, una volta arrivato a San Lorenzo, si organizza ugualmente per incontrare il capo. Durante quell’incontro, però, arriva il fratello di Paviglianiti e dice «che c’erano due persone ben vestite giunte a bordo di una Uno bianca targata Roma». Non è la stessa auto che lo ha pedinato nel viaggio dal Nord; in ogni caso Cuzzola si nasconde per permettere che il boss parli con i due uomini. Quanto torna lo trova «molto arrabbiato. Subito mi disse che Domenico Libri, all’epoca latitante, non ragionava più e mi spiegava che queste due persone con le quali aveva appena parlato erano appartenenti ai servizi segreti e li aveva mandati Domenico Libri, con i quali quest’ultimo aveva i contatti. Queste persone gli avevano detto che su incarico di Domenico Libri, Domenico Paviglianiti avrebbe dovuto tenere i contatti con loro e tenerli informati delle nostre vicende interne di ’ndrangheta e in cambio loro ci avrebbero agevolati nei processi».

Cuzzola racconta anche un confronto tra Libri e Paviglianiti avvenuto nel corso di un viaggio per Milano: «In macchina i due iniziarono a litigare in quanto Paviglianiti era molto arrabbiato per quanto accaduto circa due mesi prima e rimproverava a più riprese Domenico Libri per avergli mandato senza alcun preavviso due funzionari dei Servizi a casa sua». Libri spiega che quei rapporti con gli 007 avrebbero agevolato le cosche nei processi e chiede a Paviglianiti di tenere lui i contatti. L’altro boss, però, «non era d’accordo sul fatto di mantenere questi rapporti con esponenti dei servizi segreti e quindi di fornire a questi ultimi informazioni su vicende e strategie che riguardavano la nostra organizzazione». Tra una lite e l’altra l’incontro si chiude con un nulla di fatto. «Paviglianiti – dice ancora il pentito – che si era recato all’incontro armato, mi disse che era stato sul punto di sparare a Libri».

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Gli informatori istituzionali delle cosche di Platì

Qualche mese dopo, nell’agosto 1990, Cuzzola e Paviglianiti tornano in Calabria per incontrarsi a Platì con Antonio Papalia: l’oggetto della visita è la richiesta del via libera e di supporto per un omicidio da eseguire a Bovalino. «Mentre stavamo parlando dell’organizzazione di questo omicidio – racconta ancora il collaboratore di giustizia – è sopraggiunta una jeep dei carabinieri con le insegne istituzionali». Scende un brigadiere che parla con Papalia. Secondo Cuzzola, il militare lo avrebbe informato «che suo fratello Domenico Papalia, all’epoca già detenuto e in permesso, era in Calabria ospite dei Tegano-De Stefano». Il carabiniere avrebbe sconsigliato di non far giungere il detenuto in permesso a Platì accompagnato da uomini dei clan reggini, «perché il paese è piccolo, tutti vedono e parlano». Meglio raggiungere Bovalino assieme ai De Stefano e poi, da lì, prendere un taxi. Il pentito è convinto che «se questo brigadiere si era preoccupato di venire ad avvisare Antonio Papalia, lo aveva fatto su ordine dei superiori, questo per dire lo stretto legame che i Papalia avevano con appartenenti delle istituzioni». Cuzzola si riferisce in particolare allo «stretto legame con il generale dei carabinieri Delfino», alto graduato scomparso nel 2014 e noto per le catture eccellenti e una carriera circondata da un’aura di misteri e controversie. Altro aneddoto: «Faccio presente che quando Saverio Morabito decise di collaborare con la giustizia tutta Milano, inteso la ‘ndrangheta che operava a Milano, l’aveva saputo prima della magistratura». Questo perché Morabito «aveva manifestato la sua intenzione al generale Delfino, che a sua volta subito ne informò Antonio Papalia». Il racconto di Cuzzola manca soltanto di un dettaglio non da poco: i nomi dei presunti 007 deviati. «Io nomi non ne ho mai sentiti – spiega – sentivo genericamente parlare di servizi segreti ma in mia presenza non è mai stato fatto nessun nome».

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