Ancora cinghiali a divorare le colture, a devastare le piante, a causare incidenti. Siamo a Lamezia Terme, qui il periodo caldo deve ancora arrivare, ma i cinghiali hanno già preso possesso di campi, agrumeti, fiumi. Le loro zampe sono facilmente notabili, così come le conche che scavano per riposare o i segni lasciati dalle loro risalite dagli argini dei fiumi d’acqua dove vanno ad abbeverarsi.

 

A pochi chilometri di distanza si trova lo scalo internazionale di Lamezia Terme, qui gli avvistamenti sono stati ripetuti e solo una casualità ha evitato che queste bestie causassero danni durante atterraggi o decolli. Il lavoro dei selettori non basta e ogni imprenditore continua a spendere di tasca propria per cercare di tutelarsi.

 

Come Manolo Pasini, titolare dell’azienda agricola Palazzo Ranch, che ci racconta di avere dovuto pagare 1400 euro per la realizzazione di una recinzione elettrificata per cercare di arginare il fenomeno. A volte, ci spiega, si semina un giorno per ritrovarsi l’indomani con i cinghiali che ne hanno fatto una grande abbuffata.

 

Troppo poco il periodo in cui la caccia è autorizzata, denuncia Pasini, così come pochi sono i selettori. Ma non solo. Una squadra di selettori è composta da 17 cacciatori, non tutti di cinghiali, e deve coprire un’area di 500 ettari. Facile dedurre che quello che riesce a fare è ben poco.

 

Ci sono poi le colture sacrificate per potere ampliare la visibilità dei selettori, il pericolo di incrociare le scrofe con le cucciolate e di essere aggrediti. In tutto ciò gli indennizzi per i danni continuano a latitare. Si parla di arretrati di anni che si vanno ad accumulare mentre si sommano le entrate mancate e gli esborsi.

 

Ma di mezzo c’è anche la salute. Basti pensare che l’Istituto Zooprofilattico di Catanzaro ha stimato che gli animali della fascia ionica catanzarese siano positivi alla tubercolosi in un percentuale dell’80 per cento circa. Una situazione paradossale dalla quale da anni la Calabria non riesce ad uscire.