Un cartello che va interpretato. Forse pure capito, nel senso di “compreso” e nell’accezione più lata di “giustificato”. Ma come la giri la giri, mettere su un viadotto un cartello di divieto d’accesso per “caduta ponte”, come ha fatto l’Anas sul cavalcavia che lungo la 106 passa sull’Allaro, ti strappa un sorriso amaro.


Il ponte, infatti, non è crollato, almeno per ora, né chiuso, ma solo inibito al passaggio dei mezzi pesanti, quelli che superano la soglia di 7,5 tonnellate. Tutti gli altri possono attraversare. Ma anche se sei a bordo di una city car piccola come un barattolo ti viene da inchiodare i freni davanti a quel cartello, che fa sorridere ma anche pensare. Il divieto d’accesso ai camion è scritto con un pennarello nero sullo sfondo bianco del divieto di transito. La scrematura degli ammessi al passaggio è affidata alla grafia incerta di chi ha scritto il messaggio come sulla lavagnetta magnetica del frigo di casa.

 

Un’approssimazione che può significare tante cose. Il divieto è, come si dice, un atto dovuto, ma in realtà rischi non ce ne sono. Oppure può significare che nel Paese europeo che ha una densità abnorme di cartelli stradali di tutti i tipi, non se ne trova uno che imponga con chiarezza un divieto così importante. E poi quella scritta - “chiuso per caduta ponte” - che non ammetterebbe alcuna eccezione di stazza, nessuna alternativa se non fare inversione ad “U” e cercare un altro accesso, soprattutto in questa estate 2018 che ha visto consumarsi a Genova una tragedia epocale proprio a causa di un viadotto venuto giù.

 

Insomma, la sensazione che ne deriva è quella di una superficialità patologica, cifra di una regione arruffata e arruffona, piena di chiacchiere e povera di contenuti, attraversata da frotte di turisti che quando torneranno a casa racconteranno del “ponte caduto” sul quale sono passati.

 

Enrico De Girolamo