Dagli atti dell’inchiesta della Dda emerge a sorpresa la figura di uno dei pochi criminali cosentini stimati dalle famiglie delle altre province calabresi (ASCOLTA L'AUDIO)
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Se della confederazione criminale cosentina Francesco Patitucci è il capo supremo, Michele Di Puppo ne è l’astro nascente. Anzi, la “Stella”. È questo, infatti, il merito di ’ndrangheta, inferiore solo a quello del “Mammasantissima”, che di recente il 58enne originario di Saporito, una piccola contrada di Rende (Cs), avrebbe ricevuto in carcere a coronamento di una gavetta criminale avviata negli anni Ottanta, prima come rapinatore e poi da narcotrafficante. Un profilo illegale che il diretto interessato ha tentato di tenere a lungo nascosto, proponendosi semmai nelle vesti più rassicuranti di operaio comunale dedito alla cura del verde pubblico. Nel 2011, proprio la sua presenza in quella coop del Municipio rendese mette nei guai gli amministratori locali sospettati di aver fatto voto di scambio con lui, ma a differenza dei politici - poi assolti dalle accuse – Di Puppo non scampa alla condanna. Per lui ha inizio così una lunga carcerazione che, nonostante la libertà perduta, si rivelerà densa di soddisfazioni criminali.
I rosarnesi gli riconoscono il “merito”
Onori (e oneri) gli derivano da quella dote criminale che, secondo il pentito Diego Zappia, riceve nel carcere di Palmi dalle famiglie Oppedisano e Gioffré, che lo rendono pure partecipe di un progetto ambizioso e ancora incompiuto: ricostituire la vecchia cupola e aprire una locale di ’ndrangheta a Cosenza con a capo il suo amico Patitucci. Non solo i rosarnesi, ma anche la Società maggiore delle altre province calabresi lo tiene in grande considerazione, tant’è che da Reggio a Crotone passando per Vibo, il nome cosentino che circola di più nell’ambiente è il suo. Inizialmente la sua ascesa passa inosservata. La Dda ci ha messo un po’ ad arrivarci; prima ha dovuto mettere a sistema tracce e indizi raccolti in anni e anni di investigazioni. E un capitolo dell’inchiesta Sistema riassume oggi tutte queste suggestioni.
I clan di Vibo parlano di lui a pranzo
Un convivio in quel di Vibo accende i riflettori su di lui. Il 25 gennaio del 2018, a riunirsi per una mangiata in contrada Nasari non è una banale comitiva d’amici, ma esponenti di spicco del clan Lo Bianco-Barba i quali ignorano che le loro conversazioni, captate dalle microspie, finiranno poi agli atti di “Rinascita-Scott”. Si sono dati appuntamento in un capanno per discutere di un problema serio: l’abuso di battesimi di ’ndrangheta che, a loro avviso, si consuma nelle carceri a opera di soggetti non autorizzati a officiare quel rito oscuro, Qualcuno dei presenti fa un commento sprezzante su Di Puppo che, rinchiuso dal 2011 a Siracusa, ha da poco affiliato un detenuto vibonese, ma un altro commensale ne prende le parti, dice di non parlare di lui in quel modo perché in termini di prestigio è “come Franco Presta”, un altro cosentino di rispetto.
L’uomo dei Grande-Aracri gli chiede protezione in carcere
Ai riconoscimenti vibonesi, se ne aggiunge un altro di peso l’otto gennaio del 2019, quando gli investigatori captano un dialogo telefonico tra un ragazzo crotonese ed Enzo Piattello, all’epoca già sospettato di essere uno dei principali collaboratori di Di Puppo nel campo delle estorsioni. In quel frangente il giovane si lamenta del trattamento ricevuto nel carcere di Cosenza da un suo zio, aggredito e picchiato per ben due volte da un detenuto locale nonostante egli faccia parte del giro dei Grande-Aracri. Il crotonese è molto arrabbiato, chiede di punire l’autore dei pestaggi e si rivolge a Piattello con quest’ultimo che, di rimando, gli comunica di aver già informato “qualcuno”, e che il problema sarà risolto entro il giorno successivo. La Dda ne è sicura: dietro quel “qualcuno” si nasconde proprio il suo capo.
Il supporto al latitante di Locri
Il terzo episodio che ne documenta l’ascesa, riguarda l’arresto di Francesco Strangio, latitante locrese stanato da carabinieri e polizia il 14 febbraio del 2019 a Rose, piccolo centro confinante con Rende. Si nascondeva nella mansarda di una palazzina a tre piani per sfuggire a un mandato d’arresto per narcotraffico che l’avrebbe trattenuto dietro le sbarre per quattordici anni, e quando le divise gli piombano addosso ha con sé anche sette chili di cocaina dei quali tenta vanamente di disfarsi, lanciandoli dalla finestra. Chi erano i suoi fiancheggiatori? Il sospetto degli investigatori è che a prendersi cura di lui, tutelandone l’invisibilità finché possibile, siano stati proprio uomini di Di Puppo: gli avrebbero procacciato l’appartamento, dei telefonini puliti e, soprattutto, quel carico di droga. L’arresto di Strangio è per lui un cattivo presagio, forse il primo che ne segna il declino. Tre anni e mezzo più tardi, la sua “stella” ha smesso di brillare.