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Francesco Salvatore Fortuna, 36enne di Sant’Onofrio, avrebbe premeditato l’agguato pianificandolo nei minimi dettagli e portandolo poi a compimento nel centro di Sant’Onofrio, nei pressi dell’abitazione della vittima.
Secondo la ricostruzione fornita dagli inquirenti questa mattina nel corso di una conferenza stampa presso la Procura distrettuale di Catanzaro, fu un vero e proprio “raid punitivo” studiato ed effettuato in concorso con altri soggetti in via d’identificazione, quello che portò nel luglio del 2004, alla cruenta uccisione a colpi di Kalashnikov e di fucile a pompa caricato a pallettoni, di Domenico Di Leo, meglio noto come “Micu i Catalanu”, allora 33enne componente del braccio armato dello stesso clan Bonavota di cui è ritenuto parte integrante anche il principale accusato del suo delitto.
L’ipotesi dei moventi del delitto colloca il fatto di sangue come risposta alla scissione che si era venuta a creare all’interno del clan Bonavota di Sant’Onofrio per «molteplici ragioni». Alla base dell’insofferenza che i vertici del clan avevano maturato nei confronti Di Leo, genero del presunto boss Antonino Bonavota, alcune posizioni ritenute d’ostacolo al predominio della “famiglia” nell’organigramma del clan. Intanto l’opposizione ad un’iniziativa commerciale della famiglia che aveva in progetto l’apertura di un bar a Sant’Onofrio, poi l’intromissione di Di Leo nel rapporto extraconiugale del congiunto Pasquale Bonavota con la cugina, divenuto, quest’ultimo fattore, pretesto che, sempre secondo gli inquirenti, «celava ben altri interessi se non addirittura un movente ulteriore, per decidere di “regolare i conti”, con l'eliminazione di un appartenente al clan, ormai divenuto scomodo».
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