I bar della movida milanese? Dei clan di Sant’Eufemia. Case e appartamenti nelle Marche? Anche. Ristoranti a Bagnara? Pure. E poi immobili, appartamenti, terreni. Quello di Domenico Laurendi – Rocchellina (foto in basso), lo chiamano i suoi – era un patrimonio immenso finito sotto squestro nell'operazione della Dda di Reggio Calabria Eyphemos 2. Ma ufficialmente non c’era. Lui – quanto meno sulla carta- non aveva nulla. Motivo? Lo spiega lui stesso. «Le banche, i conti, la casa dove sto ce l'hanno mio padre, mia madre, quello e quell'altro, fate le donazioni ai nipoti» confessa ad uno dei suoi, spiegando che «là sotto si sono presi il cazzo del vizio, capisci, ti fanno tutto e ti prendono le cose, è difficile andare a dimostrargli per tornare a riprenderli».

 

Le strategie di occultamento dei beni

 

«Là sotto» è dalle parti della procura antimafia di Reggio Calabria e il vizietto di sequestrare tutti i patrimoni di mafia, lasciando con le tasche vuote boss, colonnelli e picciotti lo hanno ormai capito da tempo che i magistrati sanno che attaccare il fronte patrimoniale significa colpire dove fa più male. Laurendi - arrestato a febbraio nel corso dell’operazione Euphemos che all’epoca ha travolto il consigliere regionale, appena eletto per Fdi, Domenico Creazzo, finito ai domiciliari, e il senatore Marco Siclari, per il quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere – è ‘ndranghetista di lungo corso. Sa che beni e affari sono a rischio sequestro, «sia in ragione della sua qualificata pericolosità sociale, quale esponente di un’associazione mafiosa, sia in ragione della impossibilità dello stesso di giustificare lecitamente cotanta ricchezza» scrive il gip. Per questo, nasconde, occulta, opacizza qualsiasi attività. È un metodo.

 

Soci occulti, scatole cinesi e teste di legno

«Il Laurendi che commercia in droga di qualsiasi qualità, che commercia in armi anche da guerra costituendo veri e propri arsenali, che consuma estorsioni ai danni di imprenditori ha cumulato profitti illeciti che ha dovuto necessariamente reimpiegare e lo ha anche fatto attraverso vere e proprie scatole cinesi immobiliari ed imprenditoriali» spiega il gip. E lo sa fare. «Questo suo allarmante infiltrarsi in appalti di ogni natura, questo costituire aziende ed imprese come filiere, questo suo muoversi ed operare con abilità su tutto il territorio nazionale sono espressione significativa del fatto che tanta ricchezza nasconde necessariamente crimini e che essa non potesse essere giustificata lecitamente; tanto imponendogli schermature e trasferimenti fraudolenti».

 

Un commercialista per amico

Dalla sua ha il commercialista e amico da sempre, Gregorio Cuppari, che trova le soluzioni tecniche per far transitare denari di conto in conto per poi farli sparire, per intestare beni a prestanome o costituire ditte ombra. Non è un professionista venduto al clan. «È un consigliori» spiega il procuratore Giovanni Bombardieri. «Anche se non affiliato al locale di ‘ndrangheta» afferma il gip Tommasina Cotroneo «ha sostanzialmente fatto una scelta di fondo, allorquando, dismettendo la veste di professionista, ha indossato solo quella di un esperto del settore, che ha deciso di porre le proprie conoscenze e prestazioni al servizio degli ‘ndranghetisti». 

Di professione sa far girare i numeri e per l'amico storico Laurendi lo fa con convinzione e «conosce le pieghe del sistema e "guida" le azioni di chi appartiene a cosche mafiose - sottolinea il giudice - si muove con convinzione su un terreno che gli è totalmente congeniale, nei rapporti con le banche in relazione alle movimentazioni da fare, senza incorrere nei divieti posti dalle normative antiriciclaggio, e pure sempre necessarie per la realizzazione dell'obiettivo illecito».

 

Dalle macerie a San Marino

Le manovre sono tutte sul filo e Laurendi ci è abituato. È da fine anni novanta che, raccontano i suoi, si infiltra negli appalti, ramazza lavori, ci guadagna milioni. Anche dalle tragedie. «Hanno preso lavoro ad Assisi, loro con la ricostruzione di Assisi si sono fatti i soldi dicono. Ad Assisi e l’Aquila, quando ci sono stati i terremoti» dicono di lui. Alcuni sono scettici. Ad Assisi sì, va bene, può averlo fatto, era fine anni Novanta e poi i controlli non erano così rigidi. Per la ricostruzione di L’Aquila invece, almeno formalmente c’era più attenzione, questiona Nino Creazzo, il fratello dell’ormai ex consigliere regionale, come lui coinvolto nella prima tranche di Euphemos e finito in carcere. Ma a quanto pare, stando alle informazioni che circolano i suoi, Laurendi è riuscito ad aggirare ogni sorta di barriera, guadagnare denari su denari e poi farli sparire. Destinazione? San Marino, dove finiscono bonifici su bonifici provenienti dalle più disparate società, ma tutte – sostengono gli inquirenti – riconducibili a Laurendi.

 

La silente ascesa di Laurendi

 

Uno che ha saputo “muoversi” anche sul terreno minato delle ambizioni criminali dei diversi clan, facendosi largo ma senza pestare i piedi a nessuno. «Con la picciridda sta facendo le scarpe a tutti nel paese» dice di lui un vecchio affiliato, Luigi Bonfiglio. Ed ha costruito un impero. Tutto illecito, ovviamente. «L’enorme ricchezza imprenditoriale e immobiliare accumulata dal Laurendi non è evidentemente frutto solo di onesto lavoro e di leciti proventi. Lo dice la sua allarmante carriera criminale; lo dicono autorevoli ‘ndranghetisti che evidenziano la sua straordinaria capacità di infiltrarsi in appalti pubblici e privati; lo dice il sistema da lui adottato di intestazioni fittizie elaborato e concretizzato da anni ed il suo terrore di apprensioni giudiziarie dei propri beni, che non avrebbe avuto ragion d’essere se quei beni fossero stati il precipitato di proventi ed attività lavorative solo leciti». E adesso sono tutti finiti sotto sequestro.