VIDEO | La prima nomina importante giunta per caso, poi una pioggia di clienti, la crescita esponenziale, le accuse dei pentiti Mantella e Mancuso e le indagini antimafia fino al blitz di stamani
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Ottima famiglia, le giuste compagnie adolescenziali in una città difficilissima, segnata dalla violenza, dall’impunità e dalla legge del più forte. Uno studente modello. Percorso ineccepibile, tanto al liceo quanto negli studi accademici. Poi la pratica forense e la toga di avvocato. La svolta, quasi per caso. L’attenzione di quel giovane penalista, uno dei tanti che bazzica il vecchio palazzo di giustizia di Vibo Valentia, viene richiamata da un uomo in gabbia, che protesta col suo vecchio difensore e lo avvisa che al suo posto avrebbe nominato «il primo che capita». L’uomo in gabbia è Diego Mancuso, capomafia di rango, allora reggente dei «Sette», ovvero l’ala del potentissimo composta dai figli del defunto Domenico Mancuso, uno dei padrini fondatori clan ‘ndranghetista di Limbadi e Nicotera. E il primo che capita è appunto quel giovane penalista, Francesco Sabatino.
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La svolta
Sabatino è in gamba, intelligente, arguto e preparato. Vuole eccellere in aula, anche se sbarbatello, così come aveva fatto a scuola e all’università. Mancuso gli conferisce una nomina, lui si mette sotto e si fa valere. Il boss capisce che è meglio un giovane avvocato, capace e ambizioso, pronto a sgobbare, che un vecchio leone del foro subissato di clienti e cause. Don Diego è il primo, poco dopo arriverà un altro boss di primo piano: Peppone Accorinti, «re di Zungri» - disse di lui la ex cognata, divenuta testimone di giustizia - e del Poro. Il giovane Sabatino inizia a vincere: dalle piccole noie giudiziarie dei grandi mafiosi ai grandi processi, il passo è breve. Parte con l’assistere, quasi inaspettatamente, i generali, poi i colonnelli e, via via, i soldati. In dieci anni di professione, Francesco Sabatino diventa così uno degli avvocati più noti ed in voga non solo nella provincia di Vibo Valentia, ma anche dell’intero distretto di Catanzaro. Col tempo inizia ad assistere il vecchio ed il nuovo: da Luigi Mancuso, il superboss che scarcerato nel 2012 diverrà il presunto capo del Crimine di Vibo Valentia, ad Andrea Mantella, il padrino emergente che, ribellandosi ai Mancuso, creò un gruppo tutto suo e si mise in cartello con altre famiglie scissioniste.
L’inizio della fine
Quando nel 2016 proprio Andrea Mantella salta clamorosamente il fosso, nelle sue accuse non risparmia neppure i suoi avvocati, compreso Sabatino. Il penalista giovane e ambizioso sarebbe divenuto – secondo le dichiarazioni del superpentito – un avvocato con pochi scrupoli, avido e in grado di giocare sporco, pur di soddisfare le aspettative dei suoi assistiti: «Lui è peggio di me», disse una volta rispondendo ai pm. Nel 2018, quando inizia a collaborare con la giustizia Emanuele Mancuso, i sospetti degli inquirenti su Sabatino si alimentano: anche Emanuele era tra gli assistiti del giovane avvocato che aveva vissuto una crescita esponenziale il breve tempo, così come suo padre, Pantaleone detto Luni l’Ingegnere, a sua volta fratello di Diego Mancuso. È in quegli anni che decollano le inchieste antimafia della Dda di Catanzaro e dell’Arma dei carabinieri: Sabatino finisce al centro dei servizi investigativi coordinati dall’ufficio di Nicola Gratteri, viene intercettato, dentro e fuori il suo studio.
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L’epilogo
Inizia il maxiprocesso Rinascita Scott, da componente del collegio difensivo: la sfida è ridimensionare la portata accusatoria delle dichiarazioni delle nuove gole profonde. Dal procedimento vengono fuori anche i suoi rapporti, che secondo le fonti dell’accusa non si limitano al perimetro professionale, proprio con Luigi Mancuso. L’avvocato, però, è già sotto inchiesta perché, collateralmente, Procura antimafia di Catanzaro e carabinieri portano avanti l’operazione Maestrale-Cartagho: all’alba del 7 settembre 2023 viene arrestato e condotto in carcere, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il suo studio, in via Giacomo Matteotti, perquisito alla presenza dei suoi avvocati e colleghi, Michelangelo Miceli e Antonio Caruso. «È provato, com’è normale che sia, ma è lucido, presente a se stesso – dice Miceli –. Come noi, d’altro canto, attende il studiare il provvedimento e difendersi».