Dietro alla gestione dello spaccio di droga nel quartiere Fondo Gesù di Crotone ci sarebbe stata la regia dei plenipotenziari della cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura-Ciampà e Megna, come Domenico Megna, storico boss di Papanice scarcerato nel 2014 dopo una lunga detenzione. È quanto emerge dall’inchiesta Orso, sfociata nell’odierna operazione contro una organizzazione criminale armata dedita allo spaccio di stupefacenti a Crotone, che ha portato all’arresto di 12 persone.

Il rinvenimento della “copiata”

La gestione della vendita al dettaglio di ogni tipo di droga sarebbe stata in mano ai fratelli Andrea, Gianluca e Massimiliano La Forgia, che secondo gli inquirenti sarebbero intranei alla consorteria egemone della città pitagorica: «Il controllo della piazza di spaccio da parte del gruppo riconducibile ai La Forgia rafforza il potere e l'egemonia sul territorio della criminalità organizzata». A confermare i legami con la Ndrangheta crotonese, ci sarebbero diverse «intercettazioni condotte in carcere, corroborate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Oliverio».

Senza contare, la famosa “copiata” ritrovata nel dicembre 2016 durante una perquisizione domiciliare a carico di Andrea La Forgia, nella cui disponibilità, all’epoca, furono trovate anche armi, munizioni e droga. Ma a preoccupare l’indagato, in quella occasione, era principalmente il rinvenimento da parte della forze dell’ordine di quel manoscritto su cui era riportato l’organigramma della cosca crotonese, con tanto di nomi, cognomi e gradi rivestiti.

Il risentimento di Mico Megna

Quel rinvenimento, gli sarebbe costato il disappunto da parte dello stesso Mico Megna - il cui nome appariva nella copiata col grado di “sgarro” - che ebbe a lamentarsi dell’accaduto con Gianluca La Forgia, secondo quanto raccontato proprio da quest’ultimo, durante un colloquio in carcere, al fratello Massimiliano, ignaro di essere intercettato dai carabinieri. Nella conversazione, Gianluca «riferisce al fratello di essersi recato al bar dal “vecchio”, il quale manifestava il suo disappunto nei confronti del fratello Andrea per la vicenda relativa al ritrovamento della “copiata”, nella quale era riportato il suo nome, nonostante quest'ultimo non avesse alcun rapporto personale con Andrea La Forgia» ma solo con lui. Gianluca spiegò quindi a Massimiliano di essersi preso la responsabilità della mancata custodia del foglio da parte del fratello «apparentemente placando il risentimento del “vecchio”».

Le vedette in bici e monopattino

Secondo gli inquirenti non ci sono dubbi che la gestione del “supermercato della droga” a Fondo Gesù fosse in mano a una vera e propria associazione criminale «certamente dotata del requisito dell'organizzazione, atteso che i coindagati si sono stabilmente avvalsi di strutture e mezzi funzionali all'esercizio dell'attività di spaccio».

La droga veniva occultata nei posti più impensabili (come le intercapedini nei muri) e stoccata e confezionata in un vero e proprio magazzino in uso a uno degli indagati. Gli spacciatori si erano inoltre dotati di «apparecchiature radiotrasmittenti per comunicare tra di loro» mentre la sorveglianza della piazza era affidata delle “vedette”, che per spostarsi più velocemente sul territorio da monitorare utilizzavano monopattini e biciclette.

Legami familiari

In merito all’associazione, gli inquirenti evidenziano poi «l’esistenza di stabili legami, anche di natura familiare, tra gli associati» e «il saldo controllo, da parte del sodalizio, della propria zona di pertinenza» oltre che «la capacità di riorganizzarsi dopo eventi traumatici, come i controlli delle forze dell'ordine che portavano ai sequestri di significative quantità di sostanza stupefacente e, soprattutto, all'arresto di due attivissimi sodali».
L’organizzazione, inoltre, non si faceva scrupolo di utilizzare per le attività dispaccio anche due minorenni, imparentati con gli indagati.