VIDEO | Viaggio nella città che non utilizza i laboratori universitari, in attesa da mesi del via libera della Cittadella. Tamponi processati in ritardo, ma per l'assistenza ai contagiati ora non ci si lamenta: «Abbiamo una trentina di operatori in più»
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Nella sede dell’Usca di Cosenza, un medico tranquillizza: «Ora operiamo non più in sofferenza». Tutt’intorno c’è un’aria di smobilitazione, l’ambulanza che serviva per il drive in dei tamponi è vuota e sembrano lontani i tempi delle lamentele per una assistenza domiciliare, e un ritardo del tracciamento, che hanno amplificato i disagi. Ma quella di Cosenza è stata la prima Asp dove gli investigatori del Nas hanno voluto vederci chiaro sull’inefficienza nella seconda ondata, dovuta certamente – anche – alle difficoltà di queste task force.
«C’è stato un potenziamento dell’organico – prosegue uno dei componenti – siamo passati da una ventina di medici a 50, per una zona che comprende anche l’area urbana cosentina e alcuni Comuni della Presila». Il paradosso è che quando la seconda ondata batteva forte, c’erano meno operatori e, certamente, questa oscillazione della pianta organica è motivo di interesse per chi indaga. «Prendiamo una paga normale – conclude il medico – 40 euro lorde all’ora per dei turni che ci possono impiegare appena due ore o tutta la giornata».
Sarà pure normale, ma la retribuzione che la Regione garantisce a questi medici è diversa da quella degli altri.
Mentre a Lamezia Terme avevamo trovato persone in fila per i tamponi, in cerca di riparo dalla pioggia, si ha l’impressione che il personale medico l’ombrello l’abbia trovato, eccome, visto che i colleghi del 118 – per fare un esempio - si fermano ad un più modesto compenso di 15 euro all’ora.
Pagati bene, quindi, ma certamente anche bersaglio delle lamentele di chi a casa si è sentito recluso – per via dei ritardi accumulati nell’ottenere il risultato dei tamponi – in una città che, però, vive un mistero politico irrisolto verso la paventata terza ondata.
«E’ inspiegabile – sintetizza Sebastiano Andò, direttore del Centro sanitario dell’Università della Calabria – come ancora oggi in questa provincia ci sia solo un laboratorio autorizzato a processare i tampini molecolari». L’ex preside di Farmacia è ancora arrabbiato nel ricostruire la querelle con la Regione, dopo che il commissario Cotticelli – in una fase in cui della pandemia non c’era ancora neanche l’ombra – aveva autorizzato i due laboratori soggetti privatistici con cui la Regione, però, si può convenzionare per i tamponi.
Cosa che l’Ateneo ha chiesto il 26 giugno. «Non ci ha mai risposto», chiosa con amarezza Andò guidandoci all’interno dei locali che ospitano macchinari all’avanguardia, fiore all’occhiello inutilizzato – dalla Regione – durante l’emergenza. «Noi stiamo dando assistenza ai Comuni per gli screening – conclude il direttore – abbiamo un’ottima collaborazione con l’Asp, possiamo processare i tamponi per tutti e non per la Regione».
In questa città che ha bisogno di un ospedale da campo gestito dall’esercito, anche perché il tracciamento dei contagiati è saltato e la cura dell’Usca ha prodotto pure sofferenza, la querelle Unical-Cittadella aggiunge inquietudine in una risposta sanitaria che non è stata all’altezza.