La classica intimidazione della 'ndrangheta. Ma la particolarità sta nel fatto che due territori uniscono le forze e decidono di alzare il tiro. Parliamo infatti delle cosche che operano nell'hinterland di Cosenza e dominano il territorio della Sibaritide. E la foto a corredo dell'articolo ritrae Ivan Barone, ex esponente del clan degli "zingari" di Cosenza, mentre si avvicina alla porta d'ingresso di una società che opera nel campo degli autovelox che ha la sede legale a Montalto Uffugo.

L'intenzione dell'allora presunto partecipe della cosca degli Abbruzzese "Banana" è quella di piazzare una bottiglia incendiaria a scopo intimidatorio. L'ordine sarebbe partito da Cassano Ionio, nella persona di Nicola Abbruzzese, alias "Semiasse", con il sostegno criminale di Michele Di Puppo, ritenuto dalla Dda di Catanzaro "l'alter ego" del boss di Cosenza Francesco Patitucci, e di Gianluca Maestri, indicato quale soggetto vicino sia ai "Banana" di Cosenza che agli Abbruzzese di Cassano Ionio.

La vicenda giudiziaria è finita agli atti del procedimento penale "Athena", la grande inchiesta antimafia contro i clan della Piana di Sibari. La Dda di Catanzaro, nel caso in esame, ritiene che le cosche un tempo acerrime nemiche, visto l'enorme spargimento di sangue avvenuto tra la fine degli anni novanta e l'inizio del nuovo secolo, oggi siano alleate. Ci riferiamo ovviamente agli Abbruzzese e ai Forastefano. Nell'indagine quindi si ripercorre la presunta tentata estorsione mafiosa che oggi viene arricchita dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Ivan Barone.

Rispetto al capo d'imputazione riportato nell'ordinanza di custodia cautelare, il pentito Ivan Barone ha aggiunto un altro elemento indiziario, parlando di un altro soggetto che avrebbe partecipato all'evento delittuoso. Il collaboratore infatti accusa un imputato di "Reset" di averlo accompagnato a Montalto Uffugo per eseguire gli ordini dei suoi "superiori".

«Ricordo un episodio intimidatorio che avvenne agli inizi del 2020 o del 2021 (adesso non ricordo bene)», ma in realtà le date a cui fa riferimento l'autorità giudiziaria sono quelle del 23 gennaio 2020 e del 21 febbraio dello stesso anno, ovvero qualche giorno prima che nel mondo scoppiasse la pandemia da "Covid-19". L'azienda finita nel mirino della 'ndrangheta era quella con sede a Montalto Uffugo e «un ufficio anche nei pressi di via Popilia a Cosenza».

Barone avrebbe partecipato a una riunione «nei pressi di un campo di calcetto vicino il PalaGarden», alla quale erano presenti, oltre a me, Michele Di Puppo, Nicola Abbruzzese detto "semiasse" che conosco come un boss di Cassano Ionio, e Gianluca Maestri». L'intenzione della malavita cosentina e cassanese era quella di «piegare i proprietari dell'azienda» e aggiunge di essere stato incaricato di «piazzare una bottiglietta contenente liquido infiammabile, con un accendino legato con lo scotch, davanti alla sede dell'azienda a Montalto Uffugo».

Ad accompagnare Barone, secondo quanto dichiarato dal collaboratore, sarebbe stato un uomo «anche lui facente parte della criminalità organizzata di Cosenza» e riferisce che i due si sarebbero recati sul posto a bordo di una Lancia Ypsilon vecchio tipo di colore grigio» di proprietà del soggetto vicino a Di Puppo. L'uomo che avrebbe partecipato all'azione intimidatoria «era ben consapevole dell'azione estorsiva che stavamo compiendo». Ma il caso non finisce qui…

Dopo qualche settimana le cosche decidono di aumentare il pressing. «Mi ricordo che dopo l'intimidazione della bottiglia, mi recai con la bici elettrica di Gianluca Maestri presso una cabina telefonica di viale Cosmai», situata di fronte un bar, «dove effettuai una telefonata minatoria alla stessa vittima, perché avevo saputo da Maestri che "non si rivolgeva", con ciò intendendo il fatto che non cercava contatti nella criminalità organizzata per pagare il prezzo dell'estorsione». Il pentito ha riferito anche che il numero di cellulare dell'imprenditore glielo avrebbe fornito Gianluca Maestri «che a sua volta lo aveva avuto» dal soggetto vicino a Michele Di Puppo. Barone ha spiegato di non ricordarsi le parole esatte «ma ribadisco che si trattava di frasi di minaccia che contenevano un invito a rivolgersi alla criminalità organizzata per pagare».

Caso chiuso? Neanche per sogno. «Dopo un circa un mese, visto che la vittima ancora non si "rivolgeva", ci recammo io» e l'uomo di Rende legato al presunto "alter ego" di Francesco Patitucci, «presso l'abitazione della stessa vittima», dove la 'ndrangheta avrebbe deciso di piazzare «una testa di maiale davanti al cancello di una grande villa». Nelle intenzioni Barone e l'altro soggetto avrebbero voluto esplodere anche alcuni colpi di pistola alle auto presenti all'interno della villa, «ma poi, visto che la traiettoria non lo consentiva, ci determinammo a posizionare la testa di maiale». E ancora: «Preciso che ci recammo sul posto con la macchina" dell'uomo rendese "e che ci camuffammo con cappelli, sciarpe e mascherine per non essere riconosciuti».

 Le azioni intimidatorie proseguirono nelle settimane successive, ma il pentito ha anche ammesso che in un caso avrebbero scelto una macchina da colpire che in realtà non sarebbe stata nella disponibilità della persona offesa. E ha concluso così: «Non so se alla fine le vittime hanno pagato o no».