Dall’ordinanza che ha riportato in carcere il capo degli ultrà milanisti Luca Lucci emergono intercettazioni tra personaggi vicini ai clan. I commenti sul vuoto di potere nel tifo interista prima dell’omicidio di Vittorio Boiocchi («non c’è un vero capo») e sul business della droga
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«Quella della Curva Sud è una storia di violenza, che ha accompagnato l'accaparrarsi», da parte del capo Luca Lucci e suoi “compari”, del controllo «in danno degli altri gruppi ultras» e che, poi, lo ha visto «respingere le mire espansionistiche di Domenico Vottari con il ricorso all'aiuto di soggetti collegati alla 'ndrangheta».
Il nuovo arresto di Luca Lucci per il tentato omicidio di Enzo Anghinelli – uno dei suoi competitor per il dominio sulla galassia del tifo rossonero – illumina angoli bui del rapporto tra delinquenza da stadio e criminalità organizzata.
«Nella curva dell’Inter non c’è un vero capo»
Sono le parole di Giuseppe Caminiti, calabrese trapiantato a Milano con radici ben salde nel business dei parcheggi a San Siro, a chiarire lo spessore criminale di Lucci. Caminiti parla con Gherardo Antonio Zaccagni, imprenditore che gestiva i parcheggi prima di finire nel mirino della Procura di Milano, e gli spiega che Lucci e i suoi «sparano di brutto»: insomma, si fanno rispettare. Tant’è che «una batteria di calabrotti che voleva prendersi» la Sud è stata respinta «in tranquillità». La conversazione telefonica è del 19 novembre 2020 e tocca un aspetto all’epoca poco considerato dalle cronache.
Caminiti e Zaccagni, appuntano gli investigatori, «parlano del fatto che Lucci è in vero capo mentre non c’è un vero capo nella curva dell’Inter». È questa l’opinione di un uomo ben inserito nelle dinamiche dei clan calabresi a Milano sulla galassia ultrà nerazzurra. All’epoca il capo riconosciuto è Vittorio Boiocchi: la sua reggenza, interrotta da frequenti soggiorni in carcere, finirà nel sangue il 29 ottobre 2022. Meno di due anni prima, Caminiti dice che la curva Nord dell’Inter ha un posto vacante. Che non ci sia un capo è argomento di conversazione in ambienti che confinano con quelli delle cosche calabresi. Gli stessi ambienti dai quali arriverà, qualche anno dopo, il tentativo di scalata di Antonio Bellocco, rampollo del clan di Rosarno che pagherà con la vita il proprio scontro con Andrea Beretta, vice di Boiocchi oggi pentito. Suona come una profezia sinistra, quella conversazione tra Caminiti e Zaccagni.
«Al Meazza il business dei business è la droga»
In un’altra intercettazione si evidenzia il business a cui tutti puntano. Questa volta parlano Domenico Vottari, l’uomo che uscito dal carcere ambisce a “entrare” nella curva del Milan, e Giuseppe Calabrò u Dutturicchiu, considerato il collante tra i clan calabresi a Milano pur non essendo mai stato condannato per mafia. I due analizzano proprio il quadro della curva Nord e fanno accenno «ai numerosi “interessi”, molti dei quali illegali, orbitanti intorno allo stadio Meazza di Milano». «Lo sai che lì c’è il business dei business… lì vendono fumo, vendono di tutto… me lo raccontava lo sai chi? Vittorio, te lo ricordi Vittorio Boiocchi…».
La conversazione risale al 2018: Boiocchi era ancora vivo e – di nuovo – interlocutori ben consapevoli degli equilibri tra le cosche di ’ndrangheta commentano quali sono i grossi affari per chi gestisce le curve milanesi.
A Milano tutti sanno che con le curve si macinano centinaia di migliaia di euro. Sanno che la ’ndrangheta appoggia il capo della curva milanista e sanno altrettanto bene che la situazione al vertice degli ultrà interisti è più instabile. È questo il contesto che porterà agli scontri nella Sud, con il tentato omicidio di Anghinelli, e al delitto Boiocchi. Due curve per un’unica storia di violenza all’ombra della ’ndrangheta.