'U Galatrisi ucciso a Nicotera nell’anniversario dell’omicidio Cedro a Gioia Tauro, pochi mesi prima la scomparsa di Salvatore Drommi, nel 2011 l’eliminazione di due dei più potenti broker della ‘ndrangheta, Vincenzo Barbieri e Mimmo Campisi: agguati e moventi nel racconto del pentito
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«So che Congiusti è stato ucciso e la notizia è stata divulgata dai media ed ha fatto molto scalpore in paese. In famiglia si diceva che lui si occupava di usura. Lui ha avuto sempre buoni rapporti con me, con mio fratello e con mio padre. So che lui è stato ucciso lo stesso giorno, sebbene nell’anno successivo, in cui è stato ucciso il figlio di Cedro, a Gioia Tauro». Non sbaglia sulle date, Emanuele Mancuso, quando il 20 settembre del 2018, a Paliano, nel carcere dei collaboratori di giustizia, viene interrogato dal pm antimafia di Catanzaro Annamaria Frustaci e dall’allora comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo Valentia Alessandro Bui. Il verbale è agli atti dell’inchiesta Maestrale-Cartagho.
La scia di sangue
Emanuele Mancuso, oggi 35 anni, è il primo pentito di uno dei più potenti clan della ‘ndrangheta su scala planetaria: figlio del boss Pantaleone detto l’Ingegnere, fratello di Giuseppe Salvatore. Cosma Congiusti fu ucciso invece all’età di 53 anni mentre rientrava nella sua casa di Nicotera, in bicicletta, la sera del 9 novembre 2010.
Fu il secondo a cadere, Congiusti, nel contesto di un sanguinario regolamento di conti che condusse all’eliminazione di alcuni tra i più influenti broker del narcotraffico di stanza sul Tirreno calabrese: nell’agosto precedente scomparve, sempre da Nicotera, vittima della lupara bianca, Salvatore Drommi; il 12 marzo 2011, a San Calogero, fu trucidato in un agguato Vincenzo Barbieri, il cui peso nella rete mondiale del narcotraffico era considerato quasi pari a quello di signori della droga come Bebé Pannunzi o Rocco Morabito il Tamunga; 17 giugno del 2011, ancora a Nicotera, venne invece eliminato Domenico Campisi, del quale Drommi era il braccio destro. Tutte le vittime, eccetto Drommi, erano state implicate a vario titolo in una delle operazioni antidroga più importanti della storia, Decollo.
Il delitto Cedro
Dicevamo, Emanuele Mancuso non sbagliava sulle date: in effetti Congiusti fu ucciso ad un anno esatto dall’assassinio di Carmine Cedro, consumato il 9 novembre 2009 a Gioia Tauro. «Ad assassinare il figlio di Cedro di Gioia Tauro – diceva il collaboratore agli inquirenti – è stato il nipote di Congiusti (il figlio del fratello)». Si tratta di Gregorio Congiusti, condannato in primo grado a 24 anni, pena ridotta in appello a 17 una volta escluse le aggravanti. Il movente: un credito di 10.000 euro. Esiste, al di là della suggestione provocata dalla coincidenza temporale, una connessione tra i due omicidi o, invece, il delitto Congiusti rientra a tutti gli effetti nella mattanza nei narcos consumata sul feudo dei Mancuso?
Congiusti e gli altri
Aggiungeva, al pm Frustaci e al capitano Bui, Emanuele Mancuso: «Anche in carcere a Reggio Calabria ho saputo dai miei compagni di cella originari di Gioia Tauro che il padre del defunto Cedro offre fino a 500.000 euro a chi uccide il nipote di Congiusti appena esce dal carcere. Ad esempio ne ho parlato con Vincenzo La Rosa, Francesco Trunfi e tanti altri gioiesi, anche quando era in libertà».
Tornando a Cosma, conosciuto come ‘u Galatrisi: «Ricordo che aveva a che fare con i Campisi, padre e figlio. Sia con Mimmo, il padre ora morto, sia con Antonio». Ancora Emanuele Mancuso: «So che Campisi con mio padre si parlavano e che lo stesso prima di essere assassinato era uscito da poco dal carcere per vicende di narcotraffico. So che lui era una sola cosa con il padre di Nicola Drommi… I Drommi (Nicola e suo padre) e i Campisi (Mimmo e Antonio), lavoravano insieme (i due padri e i due figli) sulla droga, in particolare sulla cocaina, sul Vibonese, sul Cosentino e sul Catanzarese».
Chi e perché?
Il contesto è articolato, complesso e nebuloso, malgrado il contributo dei collaboratori di giustizia, solo in ultimo quello di Emanuele Mancuso, e malgrado la poderosa attività investigativa coordinata non solo dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, ma anche da quella di Bologna, perché proprio in territorio emiliano Vincenzo Barbieri aveva trasferito parte delle sue ricchezze e dei suoi affari.
Gli omicidi di Barbieri e di Campisi furono così i più rilevanti nelle logiche geomafiose dell’area. Quanto all’ultimo, alcune emergenze investigative mai sfociate in provvedimenti cautelari e, quindi, in approfondimenti processuali, indicano un coinvolgimento dei due cugini Pantaleone Mancuso, l’Ingegnere e Scarpuni, che in quella fase storica avevano assunto un potere mafioso pressoché assoluto sull’area, mentre dell’esecuzione materiale sono stati sospettati, anche in questo caso senza alcuno sviluppo giurisdizionale, Giuseppe Salvatore Mancuso (figlio dell’Ingegnere e fratello di Emanuele) e Dominic Signoretta, presunto armiere e sicario del clan.
E l’eliminazione di Vincenzo Barbieri, avvenuta tre mesi prima? Privo ancora di riscontro in sede giudiziaria, il principale assunto investigativo vedrebbe la regia di Pantaleone Mancuso detto Scarpuni e l’esecuzione materiale affidata ad un commando guidato da Antonio Campisi, figlio di Domenico.
Le presunte connessioni tra i due agguati ed il presunto movente del regolamento di conti, affiorano tra le pieghe di un altro importante maxiprocesso apertosi davanti al Tribunale di Vibo Valentia, Adelphi, che ipotizza la presunta cresta su «enormi quantitativi di stupefacenti» finanziati da Campisi ma importati da Barbieri.