Sono passati esattamente cinque anni dalla mattina in cui, proprio in queste ore, ma del 2016, in consiglio regionale e negli altri più importanti consessi istituzionali calabresi si plaudiva alla presa di possesso (l’espressione suona forse eccessivamente roboante, ma ci appare conforme a quanto successo) della Procura di Catanzaro da parte di Nicola Gratteri. Lo stesso alto magistrato geracese che all’indomani dell’insediamento - ovvero poco dopo - scioccò tutti, parlando di centri (più o meno occulti) di potere (espressione che abbiamo mutato da un eroe civile quale l’indimenticato Giovanni Falcone) attivamente impegnati per non farlo venire nel capoluogo. «Gente molto strutturata» che pure si profondeva in salamelecchi e peana pubblici di ogni genere soprattutto quando era presente. «Erano coloro - disse più o meno testualmente Gratteri - che in realtà dapprima tramavano per farmi mandare a Cosenza e poi, tramontata questa possibilità, per ostacolare il mio lavoro a Catanzaro». Postazione da dove, è bene ricordarlo, era molto temuto perché avrebbe accentrato la lotta alla ‘ndrangheta delle varie province calabresi a eccezione di Reggio.

A Catanzaro il vaso di Pandora del malaffare

Senza contare che ad ascoltare lo stesso procuratore così come dieci anni circa prima di lui l’allora giovane ma ‘temerario’ sostituto Luigi De Magistris in riva ala Crati non si sarebbe di certo trovato nel territorio in cui sembra celarsi il Vaso di Pandora. Il riferimento è alla località nota per i Tre Colli, dove alcuni gruppi politico-affaristico-mafiosi avrebbero da decenni messo… le mani sulla città facendo a tratti finta di combattersi ma in concreto spartendosi la torta di ogni possibile lucrosa attività. Parliamo insomma di una sorta di holding criminale nascosta, in cui una rete di affidabili faccendieri e mediatori fungerebbe da cerniera fra il “mondo di sopra” popolato da professionisti in vista e rampanti imprenditori e quello “di sotto” invece abitato dai più spietati e potenti boss della ‘ndrangheta. Al centro i soliti interessi: potere, denaro e sporadicamente anche sesso. Un intreccio perverso, che con una serie di operazioni eclatanti, il dott. Gratteri ha portato alla luce in un lustro di duri colpi inferti al Sistema. Elencare quanto da lui fatto in questi 60 mesi sarebbe però troppo lungo. Ma non si può certo omettere la più dura delle sfide lanciate al malaffare: Rinascita Scott (definita a livello planetario il maxiprocesso alla mafia calabrese) che dall’alba del 19 dicembre 2019 ha cambiato il volto della regione, dando forma a vecchi sospetti a giudizio di qualcuno da bollare quali semplici illazioni.

Rinascita Scott, il maxiprocesso alla mafia calabrese

Già, Rinascita Scott a cui la nostra testata dedicherà peraltro un ciclo di trasmissioni ogni venerdì alle ore 21.30 a partire da domani, venerdì 23 aprile. Un format ideato e condotto dai colleghi Pietro Comito e Pino Aprile che aprirà finalmente uno squarcio sulla cortina di silenzio calata in Calabria e ahinoi pure nel resto del Paese sul procedimento a carico del Gotha della ‘ndrangheta di una parte del territorio (finora un po’ sottovalutata, ma di fatto al vertice assoluto del temibile sodalizio criminale) e delle associazioni e gruppi di colletti bianchi affaccendati nel proteggerla e nel favorirne lo sviluppo imprenditoriale e quindi economico.

Il pentimento del boss Nicola Grande Aracri

Ed è in tale quadro in cui, tramite una serie di riscontri fattuali e documentali ovvero ancora testimoniali ad opera di pentiti e collaboratori di giustizia, si è capito come le cosche del vibonese abbiano colonizzato pure il capoluogo che si innestano però due fattori contrastanti: le propalazioni di un superboss come il cutrese Nicola Grande Aracri, il quale permetterà verosimilmente di assestare un altro duro colpo alle ‘ndrine ma anche e soprattutto alla zona grigia, e l’imminente partenza del procuratore Gratteri. La cui eredità professionale sarà forse proprio la ‘madre di tutte le operazioni’, che dovrebbe ipoteticamente prendere le mosse dalle dichiarazioni dello stesso Grande Aracri, il “capo” più importante a pentirsi, o quantomeno a dissociarsi da Cosa Nostra calabrese, fino a vuotare il sacco. Sul punto c’è chi è pronto a scommettere che, se gli inconfessabili segreti di cui è custode dovessero formare un impianto accusatorio organico già nei prossimi 6 mesi, ci sarebbe un terremoto tale da mutare pure la ‘geografica politica’ locale, in una terra in cui i cittadini saranno chiamati al voto per il rinnovo dell’amministrazione regionale a metà autunno. E l’auspicio è che lo facciano in una terra liberata, almeno in parte, dal giogo mafioso.