Il sacerdote, già cappellano del "camposanto", invita il comune a seguire l'esempio di Castrolibero, dove hanno costruito una nuova necropoli
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«Seppellire i morti». Don Pierino Vaccari cita la "settima opera di misericordia" richiesta da Gesù nel Vangelo, mentre si aggira tra le sessanta bare che da mesi attendono di essere tumulate. Correva l'anno 1996 quando il vescovo Dino Trabalzini decise di nominarlo cappellano del cimitero di Cosenza. Vent'anni dopo, il sindaco Mario Occhiuto lo mandò a chiamare per dirgli che, a causa dei tagli del Governo, il Comune non sarebbe più stato in grado di pagargli lo stipendio, e così don Pierino se ne andò in pensione. Che il ruolo di cappellano, da quel momento in poi, avrebbe continuato a svolgerlo lo stesso, anche se "a titolo gratuito".
Riflette: «Il Comune di Cosenza dovrebbe seguire l'esempio di Castrolibero dove, di recente, è stato costruito un nuovo cimitero». Accarezza con lo sguardo la foto di una giovane donna affissa su una delle tante bare cui (finora) è stata negata degna sepoltura. Sospira: «Chissà di cosa è morta!».
Il passo è incerto per colpa di un ginocchio malandato che avrebbe bisogno di essere "rimesso a posto". Eppure, ogni santo giorno che Dio manda in terra, don Pierino Vaccari prende posto sul pullman che parte da Cosenza, varca il cancello del camposanto e apre il portone della chiesa "Gesù Risorto" consacrata il 31 ottobre 2008 dal vescovo Salvatore Nunnari. Lo scorso settembre un fulmine ha reso mute le campane elettriche e spento la luce della croce che sovrasta la piccola cappella. Sospira: «Sto ancora aspettando che il Comune mandi qualcuno a riparare il guasto».
Sotto al crocifisso ligneo realizzato da un artista rumeno, due signore sistemano il corporale sull'altare. Osserva: «Attenzione che da un lato pende di più». Nei giorni festivi le funzioni religiose si svolgono alle 10. Aggiunge: «Durante la settimana, invece, sono i familiari che mi chiedono di celebrare una messa in ricordo dei propri defunti».
Quando capita che nessuno abbia bisogno di lui, don Peppino s'incammina lungo i viali alberati che portano al complesso funerario detto "Gruppo degli Angeli". Nato nel 1950 e cresciuto in una famiglia che viveva nel rione "Santa Lucia", passo dopo passo, don Peppino ricorda il suo primo incontro con la morte. Confida: «Avevo una sorella più piccola di me, si chiamava Matilde ed è morta di morbillo all'età di sette anni. Riposa in quest'angolo di cimitero dedicato ai bambini e, ogni volta che posso, vado a pregare sulla sua tomba».
La morte ormai non gli fa più paura. Da quando, ventotto anni fa, prese servizio come cappellano al cimitero di Cosenza, tragedie ne ha viste tante. Ma il dolore più grande è quello che prende forma davanti ai bambini. Indica un angolo della Chiesa, proprio lì, vicino al tabernacolo: «È al Santissimo Sacramento che affido le piccole bare bianche prima della sepoltura. Spesso mi trovo a consolare genitori che piangono un figlio per colpa di un errore medico. Ma io non lo so se quello che mi raccontano è vero oppure no».
Al termine di un'altra giornata, don Pierino si chiude alle spalle il portone della chiesetta "Gesù Risorto" dove sono pochi i visitatori che entrano per una preghiera. Chiede: «A cosa serve portare un bel mazzo di fiori su una tomba che conserva soltanto resti mortali, se poi ci dimentichiamo della spiritualità?». L'anziano cappellano del cimitero si avvia verso la fermata dell'autobus che, anche oggi, lo riporterà a casa. Indietreggia: «Anche se non li vediamo, loro vedono noi. I nostri morti ci guardano, stanno sempre vicino a noi e ci proteggono».