Chiamatele pure prigioni fantasma. Dismesse da lustri, talvolta prima di essere abbandonate: Arena, Cropalati, Petilia Policastro, Soriano Calabro. Una di queste, denunciò un rapporto di Antigone, per anni ha visto quale unico inquilino un custode comunale: Cropani. Alcune perfino ristrutturate, prima di abbandonate al logorio del tempo e dell’incuria: Mileto, Squillace. Incompiute, pur non risultando ormai in alcun elenco ufficiale. Cattedrali nel deserto, servite ad arricchire, talvolta, gli stessi ‘ndranghetisti che erano destinate ad ospitare.

A Mileto, per esempio, il boss Carmine Galati – raccontano le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e del Ros – fu addirittura assunto quale guardiano del cantiere, costato sette miliardi di lire senza mai conoscere un detenuto, venne allestito nei primi anni ’80 sotto il controllo del clan Mancuso. E chi provò a taglieggiare l’impresa appaltatrice protetta dal gigante mafioso di Limbadi, si vide recapitare un «decreto di morte»: fu il preludio allo sterminio del gruppo Evolo di Paravati.

Ad Arena, invece, l’impresa incaricata dal Ministero della Giustizia – racconta il pentito Francesco Loielo – dopo l’esplosione di una bomba sul cantiere, dovette pagare quaranta milioni di vecchie lire al boss Rocco Maiolo, nel 1990 eliminato dalla lupara bianca degli stessi Loielo. E per il completamento della strada di collegamento al carcere, quattordici milioni al mese di mazzetta: la casa mandamentale, costata circa quattro miliardi, non fu mai terminata e mai, quindi, entrò in funzione.

Eppure, sempre che le gole profonde raccontino il vero, un carcere, poi paradossalmente divenuto tra i più funzionali e tosti d’Italia, la ‘ndrangheta sarebbe stato capace di “costruirlo” fino in fondo: quello di Vibo Valentia. Lo racconta Luigi Guglielmo Farris, collaboratore di giustizia dal 1996, sentito al maxiprocesso Rinascita Scott. Il «trasporto della terra e tutto ciò che girava intorno» sarebbe stata prerogativa dei soliti Mancuso. Un po’ come avvenne per la costruzione del Porto di Gioia Tauro, perché la ‘ndrangheta non sempre lascia incompiute.

Il nuovo ospedale mai nato

Carceri, strade, trasporti… E ospedali. Quello di Vibo Valentia, atteso da oltre un quarto di secolo e già in passato travolto da plurime bufere giudiziarie, «dobbiamo farlo noi», diceva Angelo Restuccia, l’imprenditore chiamato «il Padre nostro», inquisito per i suoi rapporti con ‘ndranghetisti di altissimo livello dalla Piana di Gioia Tauro al Vibonese. «Sto facendo una cosa che voglio farvi una sorpresa», avrebbe riferito il superboss Luigi Mancuso a Restuccia. E la sorpresa era, appunto, il sempiterno cantiere del nuovo ospedale, nel quale entrare tramite il sistema dei subappalti e delle forniture.

La Strada del mare

Un altro Restuccia, Vincenzo, spirato prima che il maxiprocesso Rinascita Scott prendesse vita a Lamezia Terme, doveva invece costruire la più grande opera mai realizzata a cavallo tra le province di Vibo Valentia e Reggio Calabria: la Strada del mare, tra Pizzo e Rosarno. Nell’Anagrafe delle Opere incompiute redatta dalla Regione Calabria e pubblicata il 27 giugno del 2022 è in assoluto l’intervento più costoso: trenta milioni di euro, oneri per ultimazione dei lavori quattordici milioni. Finora solo il 30% delle opere è stato realizzato e si parla di un appalto vecchio di oltre vent’anni. Indagato quale imprenditore di riferimento del clan Mancuso dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, accusato da un nugolo di pentiti di complicità con i mafiosi e perfino di essersi auto-procurato oltre cento attentati per accreditarsi quale vittima del racket, Restuccia è deceduto subito dopo il crack del suo impero economico e prima di potersi eventualmente difendere in un’aula di Tribunale.

La Tangenziale Est

Un’altra magna opera, eternamente incompiuta dopo aver sventrato una collina, giace come una bomba idrogeologica perennemente innescata a ridosso tra Vibo Valentia e Stefanaconi: la Tangenziale Est. Finora costata sette milioni di euro, ne servirebbero altri tre affinché sia completata. I lavori eseguiti, fermi da circa dieci anni, si sono fermati al 64%. La malavita, anche in questo caso, ci aveva messo le mani sopra. Ne ebbero prova i poliziotti della Squadra mobile di Vibo Valentia, quando al Bar Tony di Nicotera, divenuto una sorta di “segreteria politica” del boss oggi ergastolano Pantaleone Mancuso alias Scarpuni, intercettarono una sua conversazione con il capobastone di Briatico Nino Accorinti: dovevano interloquire con il direttore dei lavori del cantiere, perché la Tangenziale Est, dopo aver disastrato il territorio senza neppure essere ultimata, necessitava di interventi… di messa in sicurezza. Per ulteriori novecento mila euro. Nel frattempo, però, chi aveva messo già piede da quelle parti aveva già pagato la mazzetta ad Andrea Mantella, il padrino emergente di Vibo Valentia poi divenuto collaboratore di giustizia: «I lavori di costruzione della Tangenziale interessavano i terreni di proprietà di mio padre». Prima lo disse, urbi et orbi, quand’era nella malavita. Poi, saltato il fosso, ai magistrati.