In totale sono 12 le misure cautelari (4 in carcere, 7 ai domiciliari e un obbligo di firma) disposte dalla Procura. Giuseppe Troiano che avrebbe avuto contatti con la criminalità organizzata era al vertice di un «sistema ben collaudato»
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Pagavano migliaia di euro per essere assunti fittiziamente e ottenere così il nulla osta d'ingresso in Italia. È partita dalla denuncia di un migrante l'operazione che ha portato i carabinieri a eseguire 12 misure cautelari disposte dalla procura di Rimini per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sfruttamento dei lavoratori e della prostituzione. Fra loro ci sono anche un dipendente dell'Inps, un addetto di un patronato e un commercialista residente in un'altra regione: quattro di loro sono in carcere, sette ai domiciliari, per uno c'è l'obbligo di presentazione mentre un altro è ricercato. Tra i quattro finiti in cella c'è Giuseppe Troiano, calabrese, a carico del quale sono emersi anche contatti con la criminalità organizzata.
Le indagini
La rete, attiva fra il 2017 e il 2020, aveva messo in piedi un collaudato sistema al quale si rivolgevano persone provenienti dall'Africa settentrionale, disposte a pagare per entrare in Italia. A quel punto venivano individuati imprenditori conniventi per la stipula di assunzioni fittizie, venivano richieste di disoccupazione una volta formalmente terminato il periodo di lavoro e venivano organizzati anche matrimoni, sempre falsi. Le vittime venivano spesso sfruttate quando ottenevano un vero lavoro e messe in condizioni di sudditanza psicologica legata all'ottenimento del permesso di soggiorno. Alcune giovani vittime sono state costrette a prostituirsi. Fra i reati contestati a vario titolo dalla procura riminese ci sono favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sfruttamento del lavoro e prostituzione, corruzione continuata, false dichiarazioni in atti destinati all'Autorità Giudiziaria, favoreggiamento continuato della permanenza di cittadino straniero irregolare, ricettazione e falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico.
Il coinvolgimento di Troiano
Secondo il Gip del Tribunale di Rimini Troiano attraverso diverse società da lui gestite - una delle quali titolare di un albergo a Pennabili (Rimini), con amministratore il cognato, Pietro Briamonte, anche lui finito in carcere - era in grado di organizzare il «sistema ben collaudato» per presentare domande di assunzione fittizie dei cittadini extracomunitari. Gli stranieri, che pagavano fino a 6mila euro per ottenere il permesso di soggiorno, venivano 'ospitati' in un complesso alberghiero a Bellaria Igea Marina, riconducibile ad una società il cui proprietario e amministratore unico era Briamonte, che secondo gli investigatori però anche in questo caso era solo un prestanome di Troiano. Nelle stanze fatiscenti e non adatte ad accogliere i turisti, venivano infatti sistemati i cittadini stranieri che pagavano fino a 300 euro mensili e venivano impiegati nelle più svariate attività lavorative. In alcuni casi, sottolinea il Gip, il trattamento riservato ai lavoratori «in evidente stato di bisogno e clandestini, era decisamente inumano e degradante».
Gli altri indagati
Figure di rilievo, secondo le indagini, erano anche un dipendente dell'Inps di Rimini, ora ai domiciliari, che favoriva le pratiche di accesso ai contributi e sussidi statali, un commercialista con studi a Rimini e a Pesaro, (anche lui ai domiciliari), che era a conoscenza delle intestazion
i fittizie delle imprese riconducibili a Troiano e presentava le domande fittizie per il rilascio dei nulla osta nell'ambito del decreto flussi 2020. E infine una dipendente di un patronato di Rimini, anche lei finita ai domiciliari, che aiutava a presentare le domande, pur sapendo della falsità dei contratti di lavoro.