«Sta entrando in sala operatoria, non sanno se ne uscirà vivo: non perdiamocelo». Era questo il tono utilizzato dalla famiglia Alì per accaparrarsi i poveri defunti dell’ospedale di Locri. Perché loro si occupavano di organizzazione dei funerali, vendita dei fiori, attività edilizia sulle tombe, trasporto dei defunti dall’ospedale alle abitazioni, vendita dei loculi.

Pensavano davvero a tutto Cosimo e Giorgio Alì assieme ai figli di quest’ultimo. Erano loro a gestire il business del “caro estinto” al cimitero di Locri, come emerge dall’inchiesta che ha portato al fermo di dieci persone ritenute appartenenti alla cosca Cordì, egemone nel territorio locrideo.

 

Tutto parte dalla denuncia del sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, in merito all’assenteismo all’interno del comune. Fra i dipendenti messi sotto osservazione ci sono anche i fratelli Cosimo e Giorgio Alì, rispettivamente operaio per i servizi del cimitero e custode del cimitero. Questi omettevano sistematicamente di registrare l’inizio ed il termine della propria giornata lavorativa.

 

Dalle indagini emerge l’affermazione commerciale degli Alì in questo specifico settore di mercato, avvenuto – scrivono i pm - «con modalità intimidatoria e sfruttando i loro stretti legami con gli ambienti della criminalità organizzata locale». Gli investigatori annotano come, fra il 29 maggio 2017 ed il 27 giugno 2019 si siano verificati, nel comune di Locri, una serie di preoccupanti eventi che trovano il loro elemento di congiunzione nel contrapposto interesse economico, nella gestione delle attività cimiteriali, tra tutte le vittime e gli Alì.

Che si trattasse di concorrenti o di amministratori, tutti subivano danneggiamenti e minacce gravi, sino a giungere all’incendio dei mezzi di lavoro, al posizionamento di un ordigno dinanzi all’abitazione di un funzionario comunale e, da ultimo, alla minaccia rivolta al sindaco Giovanni Calabrese, di non fargli più ritrovare le spoglie dei suoi parenti sepolti nel cimitero di Locri.

Il rapporto Alì-Cordì

Secondo quanto riportano i pubblici ministeri, il rapporto fra Cosimo Alì e Vincenzo Cordì è strettissimo. Dalle conversazioni captate all’interno della vettura di Alì, emerge che questi seguiva Cordì in ogni suoi spostamento. Cordi, fino al suo arresto, avvenuto il 4 luglio 2017, svolge quotidianamente una vera e propria attività di controllo del territorio, affidandosi ad Alì, con il quale si confronta anche in merito ad attività illecite del clan, come la ricerca di armi. Insomma, Cosimo Alì è il principale anello di congiunzione tra la cosca Cordì e la famiglia Alì. Il coinvolgimento di Cordì avviene anche nell’ambito dei servizi funerari. Questi, più volte, viene intercettato mentre utilizza armi, intercede con fare mafioso nelle diatribe fra terze persone, si interessa all’andamento economico delle attività commerciali e manifesta la sua autorevolezza criminale in varie forme.

Le attività degli Alì

Centro di interesse della famiglia Alì è la ditta “Onoranze funebri e addobbi floreali F.lli Alì di Gianfranco Alì”, con sede a Locri e che si occupa di “servizi di pompe funebri e attività connesse”. Accanto alla sede dell’impresa funebre, vi è un’altra ditta di famiglia intestata a Stefania Alì, titolare dell’attività commerciale “Green style”, avente per oggetto “commercio al dettaglio di fiori e piante”. «È significativo – scrivono i pm – che in passato, nella giornata di commemorazione dei defunti, solo la ditta Alì vendeva i fiori dinanzi al cimitero, nonostante la presenza di altre sette postazioni rimaste inutilizzate da parte di altre imprese».

Oltre a tali attività, i fratelli Alì gestiscono un servizio di ambulanza privato per il trasporto di infermi, denominato “Croce della Locride”. È emerso che gli Alì trasportassero anche persone già defunte, in violazione della legge, probabilmente con la complicità del personale sanitario ospedaliero che attestava la dimissione del paziente ancora in vita.

I contrasti con l’amministrazione

Sono diversi gli episodi che vedono l’amministrazione comunale di Locri in contrasto con gli interessi della famiglia Alì. Già con la gestione del sindaco Macrì vi erano state le prime avvisaglie e le prime denunce dell’attività all’interno del cimitero. Poi il sindaco Giovanni Calabrese si rivolge alla Procura parlando di «presenza di un comitato d’affari nell’area cimiteriale» e di “pressioni” provenienti dal necroforo Giorgio Alì. Ma è dal momento in cui Giorgio Alì viene sollevato dal suo incarico all’interno del cimitero che iniziano le minacce e le intimidazioni. Vengono registrate anche minacce pesanti nei confronti di un funzionario comunale il quale veniva invitato ad “occuparsi solo delle carte” e un ordigno esplosivo piazzato davanti all’abitazione del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune.

Le minacce ai concorrenti

Per quanto concerne le minacce ad altri imprenditori del settore, basta ricordare quel che Gianfranco Alì disse ad un imprenditore che stava svolgendo un proprio lavoro, ordinandogli di non accettare più lavori dai suoi clienti e affermando che il cimitero di Locri era di sua esclusiva competenza: «Non ti devi permettere di fare tombe ai clienti miei, il cimitero è casa mia e non casa tua. E glielo a questi altri quattro mastri di merda».

L’organizzazione dei funerali

La famiglia Alì si occupava anche dell’organizzazione dei funerali. Solo a titolo esemplificativo, ecco cosa raccontava Giorgio Alì al figlio Gianfranco, nel caso di un uomo che entrava in sala operatoria con il rischio di morire: «Ha detto che stanno facendo entrare il padre in sala operatoria e non sanno se ne uscirà vivo, e niente: non perdiamocelo!». Parole eloquenti di come veniva effettuata tale tipologia di attività.

 

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