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Quando si guarda da vicino il foro prodotto da una pallottola, in un istante cade la finzione di migliaia di scene viste alla tv o al cinema, si annulla la distanza abissale tra un’immagine intercettata distrattamente al tg e la cruda realtà. Ti rendi conti che quello è un buco “vero”, prodotto da un pezzo compatto e affusolato di metallo sparato da un’arma da fuoco, dietro la quale c’era qualcuno che ha mirato e tirato il grilletto.
Ecco perché, nell’ennesima intimidazione subita dalla Satel, una piccola impresa di Paravati che opera nel settore delle telecomunicazioni e dà lavoro a 40 operai, la cosa che più colpisce è il rimedio al quale ricorrono ormai da tempo i titolari per riparare i mezzi danneggiati dagli attentati: nastro adesivo telato. Usano questo, infatti, per coprire i fori di proiettile che ormai costellano i mezzi della ditta, dopo almeno sette intimidazioni negli ultimi anni. Sarebbe troppo dispendioso ricorrere ogni volta a un carrozziere per far riparare i buchi nelle fiancate dei furgoni, troppi soldi ci vorrebbero per cambiare portiere, cassoni o intere porzioni di carrozzeria, tanto più che presto o tardi qualcuno spianerà di nuovo le armi contro i mezzi della ditta e farà fuoco.
Come è successo ieri notte, quando ignoti criminali hanno utilizzato addirittura un kalashnikov. Hanno scavalcato il muro di cinta e hanno cominciato a sparare contro auto e furgoni parcheggiati nel cortile dell’azienda. Decine di proiettili, almeno trenta, che hanno bucherellato un po' tutto.
Strumenti di morte contro strumenti di lavoro. Una lotta impari, ma solo in apparenza. Perché i titolari della Satel - due fratelli esasperati ma comunque decisi a non mollare - hanno da parte un sacco di nastro adesivo. E più buchi faranno ai loro mezzi, più metteranno mano alle scorte di scotch per sigillarli. Continuando ad andare in giro per la regione con i loro furgoni rattoppati, simbolo di coraggio e resistenza in una Calabria dove i proiettili sono ormai diventati normali come la grandine.
Enrico De Girolamo