Nessuno di loro tentò di favorire la scarcerazione di Antonio Forastefano, cancellate in Appello le condanne inflitte in primo grado ai due professionisti per concorso esterno in associazione mafiosa
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Nessuna perizia compiacente è stata mai redatta a “Villa Verde” con l’obiettivo di far scarcerare l’allora boss Antonio Forestano. E nessun medico di quella clinica era in combutta con l’omonima cosca cassanese. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Catanzaro che, poche ore fa, ha assolto il dottor Arturo Ambrosio e il suo collega Franco Ruffolo dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atto pubblico aggravato dalle finalità mafiose.
Un verdetto che ribalta quello di primo grado, cancellando le precedenti condanne inflitte nel 2022 dai giudici di Cosenza. «Il fatto non sussiste» ha sentenziato il Tribunale presieduto da Abigail Mellace. Nella nota struttura sanitaria alle porte della città di Cosenza, dunque, non è accaduto nulla di quanto ipotizzato dalla Dda fin dal 2012.
L’inchiesta risale proprio al quel periodo e all’epoca culminò nell’arresto degli indagati. I fatti in contestazione, invece, si consumano pochi anni prima, quando Ambrosio e Ruffolo producono una consulenza che attesta come il paziente Forastefano, in quei giorni ricoverato nella struttura cosentina, fosse affetto da patologie neuropsichiatriche incompatibili con la detenzione in carcere. Nulla di strano, almeno in apparenza, ma di lì a poco, il pentimento in rapida successione di tre esponenti di quel clan - Samuele Lovato, Salvatore Lione e Lucia Bariova – getterà un’ombra sinistra su quella perizia e un po’ su tutto ciò che avviene all’interno di “Villa verde”.
I tre collaboratori, infatti, affermano che in realtà quel documento era falso, che serviva solo a tirare fuori dal carcere Tonino “Il diavolo”. E che la stessa clinica era diventata, in realtà, una sorta di oasi e buen ritiro per il boss e altri esponenti del clan. Lione e gli altri, sostenevano che, a fronte dei servigi resi all’organizzazione, i medici avessero ricevuto in cambio denaro e una sfilza di regalie. E non solo. A loro, in seguito, si aggiunge un altro ex pezzo grosso della mala vibonese come Andrea Mantella, che si presenta agli inquirenti come beneficiario di analogo trattamento di favore da parte dei medici cosentini.
Il processo a carico di quest’ultimi, dunque, si apre con un carico di accuse molto più corposo che contempla pure quelle di corruzione e concorso esterno con il clan Mantella. Entrambe cadranno alla fine di un dibattimento che sancisce anche l’assoluzione su tutta la linea di un altro medico, Gabriele Quattrone e di Caterina Rizzo, moglie di Antonio Forastefano. Contro di loro, la Procura antimafia rinuncerà a proporre Appello. A carico di Ambrosio e Ruffolo, sono avanzate richieste di pena pesanti: dieci anni di carcere per il primo e nove per il secondo. Saranno condannati rispettivamente a sei anni e sei mesi e a cinque anni di detenzione.
Oggi, però, ed è cronaca più attuale, un nuovo epilogo, che stravolge quello precedente, è stato associato in via giudiziaria a questa annosa vicenda. Il secondo processo è coinciso peraltro con il dietrofront della pubblica accusa. Non a caso, è stata la stessa Procura generale a chiedere l’assoluzione dei due imputati, dando così ragione alle tesi dei difensori di Ambrosio (gli avvocati Innocenzo Palazzo e Franco Sammarco) e di quelli di Ruffolo (Enzo Belvedere e Carlo Monaco con Annamaria Domanico sostituto processuale). Le motivazioni del verdetto saranno rese note fra trenta giorni. Per Ambrosio è tuttora in corso uno strascico giudiziario collegato sempre a questa vicenda, che lo vede sotto processo a Catanzaro solo con riferimento alla perizia da lui redatta all’epoca sulle condizioni di salute di Mantella.