VIDEO | Tra i percettori c'era anche la moglie di un ergastolano di un potente casato di 'ndrangheta
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Dalle ville affrescate con i leoni, simbolo negli anni 70 di una potenza criminale da ostentare, all’arte (illecita) di arrangiarsi con il reddito di cittadinanza.
Anche per il casato mafioso dei Piromalli-Molè è emblematica la parabola che, questa volta, è toccato ai carabinieri della Compagnia di Gioia tauro fotografare, con l’indagine denominata “jobless money” che ha scoperto come, dopo i colpi inferti dallo Stato, le 'ndrine abbiano nuove difficoltà economiche nel quadro di vecchie sfrontatezze.
«Si è trattato di un controllo durato 3 mesi – spiega il capitano Gabriele Lombardo, che guida la Compagnia gioiese dell’Arma – durante i quali abbiamo verificato oltre mille posizioni, tra cui quelle di donne che avevano omesso di dichiarare di essere mogli di detenuti, e in un caso il percettore direttamente aveva sulle spalle una condanna per magia che non aveva indicato».
Tra i beneficiari c’era anche la moglie 50enne di un boss ergastolano, ma anche madre e figlio che – pur abitando nella stessa casa del quartiere Marina – avevano fatto risultare una residenza sdoppiata finanche dentro un casolare di campagna.
In una città dove il clan non rinuncia al controllo dell’economia e della pubblica amministrazione, sono della scorsa settimana la condanna dell’imprenditore Alfonso Annunziata e gli arresti che hanno decapitato l’ufficio tecnico comunale per lo scandalo delle opere finanziate con i fondi europei, questo interesse degli affiliati al reddito di cittadinanza dimostra che la 'ndrangheta è disposta a lucrare sulle misure che, invece, spetterebbero ai veri bisognosi.
Tra i 37 denunciati 4 stranieri, e c’era pure chi aveva chiesto il reddito, pur acquistando una vistosa auto.
Le posizioni dei denunciati sono al vaglio della procura di Palmi, guidata da Ottavio Sferlazza, ma siccome quest’operazione è l’ultima di una lunga serie, forse è il tempo di disincentivare meglio le tentazioni del reddito di cittadinanza.
«Fondamentale per l’indagine – conclude il capitano Lombardo – si è rivelata anche la conoscenza del territorio e delle famiglie mafiose che hanno i carabinieri della Compagnia e della Stazione cittadina, oltreché la collaborazione con le altre pubbliche amministrazioni i cui dati abbiamo incrociato».