Nel quarto interrogatorio l’ex capo ultrà interista pentito racconta i rapporti con il rampollo del clan di Rosarno: «Appena arrivato gli davo 2mila euro al mese. Ci minacciò subito per farci capire il suo peso criminale»
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«Questa è la divisione dei soldi della Champions, della finale di Champions, Manchester City-Inter». Sulla divisione però Andrea Beretta ha qualche dubbio. Nel quarto interrogatorio – quello dello scorso 20 dicembre – davanti ai magistrati della Dda di Milano, il pentito ex capo ultrà dell’Inter rilegge alcune intercettazioni su richiesta degli inquirenti. Sono tanti i soldi che ruotano attorno a una stagione di Champions League per la vendita dei biglietti gestita direttamente dalla tifoseria. Beretta li quantifica in 150mila euro a testa per sé, Antonio Bellocco e Marco Ferdico. In quell’occasione, però, «c’è qualcosa che non quadra» rispetto ai patti sanciti dall’accordo nel triumvirato a capo della Curva Nord.
«Praticamente – spiega ai pm – si sono divisi dei soldi in più loro. C’è scritto “non dirgli niente al lungo”, non dirgli niente a… ero io. Sono io il “lungo”. Si sono divisi dei soldi senza dirmi niente». I colpevoli sarebbero Ferdico e Bellocco, i due con conoscenze orbitanti attorno alla ’ndrangheta: il primo per fascinazione e (forse) frequentazioni quando giocava nel Soriano, in Eccellenza, il secondo per lignaggio.
«Bellocco e Ferdico si sono divisi i soldi della Champions alla faccia mia»
L’intercettazione viene mostrata a Beretta proprio per capire se stessero cercando di metterlo in un angolo, di escluderlo da una fetta dei lucrosi affari criminali. «Lì si parla di più di 10mila euro a testa, dottore, forse anche 15mila, però non si capisce bene. Perché poi mettono in mezzo Chuck, Intagliata, Buzzero, si sono divisi dei soldi anche delle bandierine. Io ho fatto fare delle bandierine da portare allo stadio».
Si sono divisi dei soldi «alla faccia sua» dice bruscamente il pm Paolo Storari. «Sì», replica Beretta che spiega anche di aver messo in conto qualche intervento del genere anche nella gestione della fanzine della Curva Nord («non sono mai andato a spulciare»).
Nel sottobosco criminale degli ultrà la tensione è sempre alta. Gli investigatori vogliono sapere «se Bellocco quando è intervenuto per la prima volta ha mai fatto delle minacce dirette a voi, quasi per accreditarsi, per dire “attenzione che da questo momento ci sono io”».
Beretta risponde che il rampollo del clan di Rosarno «ci faceva capire, sottintendere che noi dovevamo stare al nostro posto, non dovevamo tradire la sua fiducia, la sua amicizia». Riflessioni che fa quasi subito. La tempistica stupisce gli inquirenti che chiedono spiegazioni.
«Bellocco ci minacciò appena arrivato a Milano»
«Quando è arrivato Milano – sono sempre parole di Beretta – io gli davo ogni mese dei soldi, gli davo 2mila euro al mese, quindi gli avevo trovato la casa, gli ho detto “Adesso finché non ti troviamo un lavoro non ti aiuto”. Poi, dopo, quando è arrivato… che sono iniziati a entrare i soldi del merchandising, dei biglietti, ho detto “Adesso questi 2mila euro qua basta, perché li hai presi”».
Appena arriva, però, Bellocco «fa capire subito la predominanza della persona, ci fa capire “Non mi tradite perché sennò io so già dove…” ce l’aveva sempre con ‘sti figli lui». Anche Ferdico, che pure lo aveva portato a Milano tramite amici comuni di Soriano, avrebbe posto la questione a Beretta: «Si era fatto delle domande del tipo “Ma questo qua che c… fa, ci minaccia a noi? L’abbiamo tirato noi dentro”». Beretta, da parte sua ribadisce: «Io non mi sono mai spaventato di questa gente, mai».