Il nove aprile 2018 un’autobomba ha ucciso Matteo Vinci, biologo quarantenne di Limbadi. Stava rientrando a casa insieme al padre Francesco dopo essere stati nella loro proprietà in campagna. Un ordigno piazzato sotto l’auto è esploso poco dopo che i due erano partiti. Per Matteo Vinci non c’è stato nulla da fare mentre il padre si è salvato pur riportando gravi ustioni su tutto il corpo.
Per questo delitto sono stati condannati all’ergastolo, quali mandanti, Rosaria Mancuso, 67 anni, e il genero Vito Barbara, 31 anni.

Il manoscritto di Emanuele Mancuso

Qualche mese dopo, a giugno 2018, aveva un inizio travagliato la collaborazione con la giustizia di Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso detto “l’ingegnere”. La famiglia cercò di stroncare la collaborazione del giovane sia con le cattive – minacciando di non fargli vedere la figlioletta appena nata – che con le buone – promettendo di allontanarlo dall’Italia comprandogli un bar in Spagna. Sotto le pressioni della famiglia Emanuele Mancuso ebbe una breve parentesi di tentennamento per poi tornare sui suoi passi e dare inizio a una lunga e decisa collaborazione.

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Come ha ricordato il pubblico ministero Annamaria Frustaci nel corso della requisitoria del procedimento abbreviato Maestrale «in un momento iniziale della collaborazione Emanuele Mancuso tra il 19 e il 18 giugno del 2018 la prima cosa che fa consegna un documento, un foglio di carta manoscritto». Su questo foglio ci sono vari appunti anche relativi a diversi omicidi, compreso quello di Matteo Vinci.

La strategia difensiva: «La bomba costruita da Vinci»

Emanuele Mancuso racconta di avere appreso dall’avvocato Francesco Sabatino che la strategia difensiva degli esponenti della famiglia coinvolti «sarà quella di dichiarare che Matteo Vinci e il padre sono stati coinvolti nell'esplosione nella quale Matteo Vinci è morto e il padre è rimasto gravemente ferito, perché erano loro a trasportare a bordo della loro autovettura un'autobomba, cioè una bomba in ragione della pregressa appartenenza del Vinci all'esercito e in ragione del fatto che con questa bomba, che poi era diretta a un attentato intimidatorio, pensate un po', nei confronti di Rosaria Mancuso per i pregressi conflitti di vicinato, questa bomba poi sarebbe esplosa nel trasporto con una perforazione dall'interno del veicolo».
Una ricostruzione, un elaborato tecnico di parte che, ha ricordato il pm, è stato sconfessato totalmente dalla Corte d’Assise di Catanzaro.

Le rivelazioni tre anni prima del processo

Altra cosa rileva l’accusa, ovvero che – per quanto ritenuto «inattendibile» nella sentenza sulla morte di Matteo Vinci – «Mancuso Emanuele non aveva la sfera di cristallo in mano, perché quando decide di collaborare con la giustizia è il giugno del 2018».
Eppure quello che lui aveva rivelato all’epoca, nel 2021 si verifica perché «nelle udienze conclusive dinanzi alla Corte d'Assise verrà presentata questa relazione tecnica di parte, parliamo di quattro-cinque anni dopo, dove effettivamente c'è questa bislacca tesi che la Corte d'Assise respingerà nella sua più evidente infondatezza».

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A questo punto il pm evidenzia due passaggi. Il primo è che «Emanuele Mancuso riferisce questo dato alla strategia difensiva appresa dall'avvocato Sabatino che seguiva le sorti dei suoi familiari, rappresentando però che era diciamo una strategia ovviamente sempre di natura in qualche modo illecita, perché il problema non è la strategia difensiva, è legittimo difendersi, ma si possono addurre relazioni tecniche mendaci asseverandole, magari con un consulente di Parte sedicente esperto di esplosivi e quant’altro?».

Il secondo passaggio riguarda il fatto che il collaboratore avesse rivelato questa strategia difensiva diversi anni prima che venisse messa in campo, quando «non erano concluse le indagini, non c'era stato nessun accertamento, ma già c'era pronta la modalità per sconfessare l'operato in questo caso omicidiario dei responsabili del delitto».

I dubbi di Pittelli e Sabatino: «Difendere o meno gli autori del delitto?»

In merito al delitto di Matteo Vinci è emerso da subito un fatto: il boss Luigi Mancuso si era dissociato platealmente da quel delitto. Non solo era andato a casa di Rosaria Scarpulla, madre di Matteo, per puntualizzare che con quella tragedia non c’entrava niente. Ma alla fiaccolata per il giovane biologo avevano partecipato la moglie dello stesso Mancuso e la moglie del defunto Pantaleone Mancuso, alias Vetrinetta.
Alla luce di questa dissociazione, racconta il pm Frustaci, da alcune intercettazioni emerge che l’avvocato Giancarlo Pittelli (condannati nel processo Rinascita a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa) «si confronta con l'avvocato Sabatino, entrambi devono stabilire se difenderanno o meno gli esponenti della famiglia Mancuso, perché Luigi Mancuso ha mandato un segnale chiaro».

Luigi Mancuso ha preso «una posizione ufficiale formale di vicinanza alla famiglia della vittima, respingendo, diciamo, la condotta violenta dei suoi familiari, per cui nel momento in cui ci sarà l'esecuzione della misura l'avvocato Pittelli e l'avvocato Sabatino si chiederanno reciprocamente se è il caso o meno, visto che lui, non si fa nemmeno il nome, visto che lui ha preso una posizione chiara, è andato alla fiaccolata, se è il caso o meno di difendere questi esponenti della famiglia da cui lui ha preso le distanze. Poi alla fine l'avvocato Sabatino dirà: "A me importa poco da questo punto di vista, piuttosto adesso facciamo una valutazione, facciamo una riflessione e vediamo", poi effettivamente l'avvocato Sabatino prenderà parte alla vicenda processuale».