A giudizio di Antonio Nicoletti, responsabile nazionale Biodiversità ed Aree protette e Anna Parretta, presidente della sezione regionale del sodalizio ambientalista le inchieste «rivelano la capacità della criminalità organizzata di penetrare nel tessuto produttivo»
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«Le illegalità presenti nella gestione del nostro patrimonio boschivo, nella filiera energetica e nel ciclo di smaltimento dei rifiuti costituiscono una aggressione crescente ed insostenibile al patrimonio ambientale del Paese». Lo sostiene Antonio Nicoletti, responsabile nazionale Biodiversità ed Aree Protette di Legambiente ed Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria in relazione all'operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha portato, nel crotonese, all'arresto di 31 persone.
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«Secondo lo scenario descritto dalla Procura - sostengono Nicoletti e Parretta - si può ritenere che, per come già emerso dall'inchiesta 'Stige', il quadro dell'organizzazione dedita alla gestione illegale del nostro patrimonio boschivo sia nelle mani delle cosche e trova conferma la deduzione che gli interessi dei clan nel settore forestale in Sila avvenga anche con l'estensione sulla filiera energetica ad esso collegata ricomprendendo anche lo smaltimento illecito di rifiuti. Ipotesi istruttorie che destano preoccupazione perché rivelano, ulteriormente, la capacità della criminalità organizzata di penetrare nel tessuto produttivo regionale».
«Serve una necessaria inversione di tendenza da parte della Regione Calabria, così come richiesto da Legambiente durante il recente Forum regionale sulle foreste organizzato nel luglio scorso a Cosenza - sottolineano i due dirigenti dell'associazione ambientalista - per superare le contraddizioni ed i ritardi nella pianificazione e nell'approvazione dei piani di gestione forestali (sono oltre 300 i piani in attesa essere approvati dagli uffici regionali), oltre che per sopperire all'assenza di certificazione secondo i principi della gestione forestale sostenibile. In Calabria, inoltre, mancano dati ufficiali sul livello di utilizzazione dei boschi e sui prelievi forestali a causa di un sistema di autorizzazione farraginoso e non trasparente che negli anni ha permesso alla criminalità organizzata di infiltrarsi e condizionare un settore economico importante, che nei fatti, alimenta la 'monocultura' industriale di produzione di energia elettrica da biomasse per le grandi centrali».