Per la Cassazione non serve che il capo del clan di Aosta si dissoci. La Procura generale aveva sottolineato che la cosca è ancora operativa
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Ha diritto a ottenere uno sconto di pena Bruno Nirta, il presunto boss della 'ndrangheta condannato in via definitiva nel 2023 con l'accusa di essere stato al vertice di una locale presente in Valle d'Aosta. È quanto si ricava da una pronuncia con cui la Cassazione ha bocciato un ricorso presentato dalla procura generale dell'Aquila (il caso è al vaglio del distretto giudiziario in cui l'uomo è sotto custodia) secondo cui «il clan è ancora operativo».
A Nirta erano stati inflitti 12 anni, 7 mesi e 20 giorni di reclusione. Tramite i suoi legali, aveva chiesto e ottenuto gli sconti (la cosiddetta “liberazione anticipata”) relativi ai semestri di pena espiati fra il gennaio 2019, e quindi dal momento dell'arresto, e il luglio 2023. Il beneficio, in base all'ordinamento, viene concesso su parametri come «l'impegno» manifestato nel partecipare alle attività di rieducazione e «la correttezza dei rapporti» con gli operatori del carcere, i compagni di detenzione, la famiglia.
La procura generale dell'Aquila si è opposta sottolineando «la perdurante affiliazione 'ndranghetistica» di Nirta «desumibile dal ruolo verticistico ricoperto e dall'attuale operatività del clan». I giudici di sorveglianza, però, hanno rilevato che finora non sono emersi comportamenti del detenuto «sintomatici di perdurante affiliazione» al contesto 'ndranghetistico originario. La Cassazione ha ribadito il principio in base al quale non è possibile far coincidere l'ipotesi di un legame con la criminalità organizzata «al mancato ravvedimento dell'interessato o alla mancata dissociazione».