A Reggio Calabria, nel pomeriggio di ieri, il gup ha inflitto sette ergastoli per un omicidio efferato compiuto diversi anni addietro e le cui conseguenze si notano ancora in un territorio difficile come Gallico, divenuto polveriera complessa dove a pagare con la vita è stata anche una donna innocente. Era da tempo che la città dello Stretto non vedeva così tanti ergastoli inflitti tutti insieme. Andando a mente, forse, dalla tragica rapina in cui morì la guardia giurata Luigi Rende. Seppur non ancora definitive, tali condanne sono però indice di indagini compiute con particolare perizia da due magistrati che hanno avuto il merito di lavorare in silenzio, portando a casa un risultato importante. Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ed il sostituto procuratore, Sara Amerio, rappresentano un chiaro esempio (ma ne potremmo fare diversi sia a Reggio che nel resto della Calabria) di una Giustizia (il maiuscolo non è casuale) lontana da lotte di potere, intrighi e spartizioni politiche. Ed abbiamo volutamente introdotto la nostra riflessione partendo da risposte che la magistratura ha saputo dare in una terra che ha atteso per anni di riceverle sul terreno della lotta alla criminalità.

 

La Procura di Reggio Calabria lo fa già da qualche anno, alzando sempre più l’asticella verso obiettivi certamente difficili, ma ambiziosi e non più ancorati a vecchie logiche mafiose ormai desuete. Ciò per significare che, a fronte di un potere giudiziario oggi pericolosamente logorato dallo scandalo che sta travolgendo il Csm, esiste una stragrande maggioranza di giudici e pubblici ministeri che fanno quotidianamente il loro dovere, sottraendo tempo ed energie alle loro famiglie, per quello che deve essere considerato più una missione che un mestiere. Amministrare la Giustizia, a nostro avviso, è qualcosa di molto “alto” inteso in senso laico. Lo si fa “nel nome del popolo italiano”. Di tutto, non di una parte.

Purtuttavia, non ci si può esimere dall’osservare quanto marciume stia emergendo dalle intercettazioni captate grazie al trojan “lanciato” sul telefono del pm Luca Palamara.

Il trojan “catartico”

Abbiamo letto autorevoli pareri, in questi giorni, circa l’idoneità di un simile strumento ad ottenere informazioni utili alle indagini. C’è chi, giustamente, ha posto in luce la forte invasività di un “virus” che infetta il cellulare permettendo all’autorità giudiziaria di scandagliare ogni singolo respiro di una persona che vive con il proprio telefono. È senza dubbio una questione da approfondire sotto il profilo della tutela della privacy. Ma la domanda di fondo rimane sempre la medesima: fin dove la tutela della riservatezza di una persona deve prevalere dinnanzi alle esigenze di accertamento di un reato? A nostro avviso (tralasciamo ragionamenti tecnici che in questa sede annoierebbero chi legge), il trojan installato sul telefono del pm Luca Palamara è in qualche misura “catartico”. Senza scomodare citazioni dotte come quella di Manzoni, di certo non si potrà affermare che la magistratura usi “due pesi e due misure” a seconda degli indagati. Nel mirino è finito uno dei magistrati di punta della Procura di Roma, ma soprattutto esponente autorevole della “politica giudiziaria”. Ben vengano i trojan, dunque, se servono a far emergere tutto lo squallore che sta venendo a galla nella vicenda che riguarda il Csm.

Quel che era già noto

Occorre, però, operare una distinzione basilare fra ciò che era arcinoto a tutti e ciò che invece non si poteva immaginare. Partiamo da una riflessione semplice, che per molti potrà apparire azzardata: la politica c’è sempre stata all’interno del Csm, per una ragione banale. Parte dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, infatti, viene nominata proprio dal Parlamento. Ciò, al di là dell’atteggiamento dei singoli membri, comporta una politicizzazione di partenza dell’organo di autogoverno della magistratura. Se ciò non fosse sufficiente, ricordiamo che, al suo interno, il Consiglio è fatto di correnti. Si badi: non correnti più o meno garantiste o giustizialiste. Ma correnti identificate come di destra, centro o sinistra. Ciò a dimostrazione ulteriore di come la politica c’entri mani e piedi nella gestione delle nomine dei vertici degli uffici giudiziari. È qualcosa accaduto da sempre e che può scandalizzare solo chi ha ignorato il funzionamento del Csm prima di questa vicenda. Ma ovviamente esistono dei paletti che non possono essere superati.

Quel che non doveva accadere

C’è un lungo elenco di fatti che non sarebbero mai dovuti accadere. La prima domanda da porsi è: com’è possibile che, a parlare di nomine, nel chiuso di un hotel, in piena notte, ci siano anche autorevoli esponenti politici che nulla hanno a che fare con la magistratura? Più semplicemente: come può accadere che un deputato come Luca Lotti, indagato dalla Procura di Roma per il caso Consip ed in attesa di sapere se verrà rinviato a giudizio, possa sedere attorno ad un tavolo per discutere il nome del futuro procuratore che dovrà decidere le sorti del suo procedimento? Non esiste alcun titolo affinché ciò possa avvenire e si appalesa quale grave vulnus all’autonomia ed all’indipendenza non solo del Csm, ma anche dei magistrati che dovranno decidere su un fascicolo delicatissimo. Per spazzare via qualsiasi dubbio, insomma, la presenza di Luca Lotti è inopportuna, sbagliata e dalle dubbie finalità. Discorso simile deve essere fatto per l’ex sottosegretario e magistrato Cosimo Ferri, il quale da tempo non esercita più le funzioni, ma continua, non si sa bene perché, a tramare per le nomine di questo o quel procuratore. Tralasciamo (commentandosi da sole) le frasi che abbiamo letto nonché il modo in cui sono state poste le questioni.

Come giudicare poi le discussioni fatte su esposti che avrebbero potuto/dovuto azzoppare un candidato a vantaggio di un altro, richiedendo addirittura di “lasciare fermo” un procedimento per tenere sotto scacco un collega poco gradito?

 

Esiste un terzo problema, molto serio: è pensabile che vengano trovati dei fascicoli, a casa di un pubblico ministero, che lui non ha mai trattato e sui quali, come presumono gli investigatori, si doveva decidere se e quando fissare la relativa udienza? No, non è pensabile. Questo, a nostro avviso, raggiunge un livello di allarme ben più alto di quello di un nugolo di magistrati e politici che tramano per scegliere un Procuratore. Anche perché, diciamocelo francamente, nel caso specifico del nuovo capo dell’ufficio requirente di Roma, tutti e tre i candidati hanno le carte perfettamente in regola per occupare quel posto. Dunque, siamo certi che anche lo stesso pg Viola si senta fortemente danneggiato da tutto questo “ciarlare” sulla sua ipotetica nomina, essendo egli un magistrato dalle qualità ben note. Senza immaginare come si senta il procuratore Giuseppe Creazzo, magistrato integerrimo finito, suo malgrado, al centro di vicende torbide e lontane anni luce dal suo modo d’intendere il lavoro.

È una guerra fra gruppi di potere? 

Ora, posto che quanto venuto fuori è imbarazzante ed a tratti preoccupante, chi, per mestiere, si occupa di porsi degli interrogativi, non può fare a meno di notare un aspetto: il trojan piazzato sul cellulare di Palamara doveva servire a raccogliere elementi su una delicata inchiesta per corruzione. Domanda: c’entra qualcosa tutta la vicenda del Csm con quell’inchiesta? In che modo le intercettazioni venute fuori potevano essere valorizzate all’interno di quel procedimento? C’è il sospetto, molto insistente, che qualcuno abbia deciso di far “uscire” quelle intercettazioni allo scopo di scatenare una vera e propria faida fra gruppi di magistrati. Forse per un “regolamento di conti” interno? Forse per un possibile “assalto al potere”? Noi non possiamo saperlo, ma quel che ci appare lapalissiano è che questo scandalo è stato sicuramente “indotto”. Forse colui o coloro i quali lo hanno fatto scoppiare non immaginavano certo che vi potesse essere un “danno collaterale” così duro. Ma tant’è. Come diceva qualcuno, quando il letame finisce nel ventilatore gli schizzi arrivano ovunque. E sono arrivati addirittura ai piani più alti delle istituzioni italiane. C’è, dunque, una guerra fra gruppi di potere dietro questo scandalo che sta sconquassando il Csm?

Si attende una reazione

La risposta arriverà nelle prossime settimane, mentre si attende con impazienza che il presidente Mattarella si pronunci nel corso del plenum straordinario di venerdì. Servono parole forti, decise e sulle quali nessuna obiezione possa essere mossa. 

 

Di certo, in questo momento, non serve pensare a riforme e simili. C’è da riconquistare una credibilità che la magistratura italiana ha perduto a cause di pochissimi dei suoi membri, sebbene incaricati di ruoli di vertice. Ma occorre anche una precisa presa di coscienza della stragrande maggioranza dei magistrati che, ogni giorno, lottano per far sì che si possa fare Giustizia in Italia. Sono loro la vera spina dorsale dell’ordine giudiziario. E sarebbe un errore clamoroso lasciarsi prendere dalla smania di distruggere quanto di buono viene fatto quotidianamente. Se c’è qualcosa da ripulire e cambiare, e c’è sicuramente, lo si faccia. Si prendano provvedimento, anche drastici, nei confronti di chi ha sbagliato. Ma si eviti di gettare fango anche su chi fa il proprio dovere lontano da giochi politici e di potere. Lo abbiamo detto all’inizio: Reggio Calabria, dopo anni turbolenti, sta dimostrando che un lavoro serio e pacato, lontano da riflettori non richiesti, porta a risultati tangibili e non solo ad arresti eclatanti. Così avviene a Catanzaro, con il procuratore Gratteri, ed in molte altre Procure d’Italia, nei rispettivi Tribunali e Corti d’Appello. Ignorarlo sarebbe grave tanto quanto lo sarebbe sottovalutare lo scandalo che sta travolgendo il Csm.