Nonna Mela aveva il Risorto in casa, anzi accanto al letto. Non un'immaginetta stropicciata a forza di baci, e neanche un'icona nella cornice simil argento le erano bastate: nel suo talamo aveva una statua di Cristo, alta 3 metri e posta su una varetta a rotelle.

A darle la buonanotte e il buongiorno fino all'ultimo giorno di vita, un Redentore senza croce, con le ferite del calvario, si, ma giubilante con la bandiera della Resurrezione in mano, perchè nonna Mela ci teneva sopra ogni cosa: una delle due effigi dell'Affruntata doveva custodirla lei, e nessuno più tentava di spiegarle che le statue normalmente devono stare nelle chiese, non in mezzo alle faccende domestiche.

Nonna Mela era la felice custode che tutto il paese invidiava, e nel giorno della Pasqua – tutti, comunisti o timorati di Dio - partivano in processione dalla sua casina, per il rito della Resurrezione nella piazza, per preparare l'incontro tra la Madonna svelata tra gli applausi della sua incredulità, il Figlio di nuovo benedicente tra la folla osannante e San Giovanni guizzante sull'asfalto, scalzo, ad annunciare la buona novella.

Se l'Affruntata è magica, nel suo annuncio del mondo nuovo, nonna Mela per i paesani diventava la fatina, minuta, piegata dagli anni, pronta e piangente a spolverare un'ultima volta il gesso prima di rivarcare la porta, costretta a rinunciare per la comunità alla “sua” statua, un giorno solo all'anno. E lo era, una donna magnetica nel giorno della festa, tanto per i braccianti quanto per i professionisti, per chi le portava le medicine a casa o il gallo da spennare, perchè non esiste cerimonia magica che divide, non esiste rituale sensato se non si consuma nelle scelte ripetute di un popolo che non guarda intorno alle tasche, semmai al cielo che manda grazia.   

C'è da crederci che fuori da quella stanza da letto il mondo girava ogni anno col suo solito calendario di semina e raccolta, pioggia e sole, lutti e nascite, mentre a nonna Mela era stata destinata una fortuna speciale: essere al servizio di un rito che non conosceva lo strazio del tempo, e al contempo scrutarne la devozione popolare nella festa, volgendo il suo sguardo oltre la luce del giorno e il buio della notte verso quei lineamenti pitturati e il legno intarsiato di un trabiccolo consacrato da cui il suo “compagno” la vegliava.

Una devozione unica per lei, un orgoglio eccezionale per i calabresi di ogni latitudine, l'Affruntata anche quest'anno che non si farà. Qualcosa di ancestralmente sociale, un rito comunitario di cui la fede è solo la scusa, perchè più forte è la pratica del riconoscersi come parte di un “piccolo mondo” che spinge le statue con sudore e gioisce per le cose liete che si possono incontrare.

Nonna Mela da anni non c'è più, anche la sua casa è diventata diversa e orfana di una Statua tornata tra le solite navate, pronta però a farsi strada come sempre finita questa pandemia, perchè le Affruntate in tutti i paesi sono le emozioni degli emigranti – che le guardano in streaming – e la partecipazione della gente. Lei che aveva vissuto la guerra, e che questa illibertà per colpa del virus l'avrebbe vissuta col suo Cristo Risorto accanto, in questa Pasqua mutilata avrebbe pregato, certo, come la fatina di sempre: aprendo il cuore, anziché la casa, al paese dell'Affruntata. Avrebbe fatto la custode come sempre, e come sempre avrebbe trovate le risposte senza imporle con l'arroganza che è tipica di questa epoca. 

 

*Nonna Mela è una persona realmente esistita. Non ha avuto nipoti, a dire il vero – l'unico figlio concepito con accanto un simile protettore, è consacrato e fa il missionario in Africa - ma nella memoria di chi scrive, questa donna, non può che essere la vegliarda guardiana che tramanda un rito senza tempo, che questo tempo di tragedia ha rimandato ma senza far disperdere alle comunità - ovunque impegnate contro il contagio, quel clima di unione umana speciale che lei ricreava di anno in anno.