Il commento che sto per declinare, va ben al di là della semplice nota di editorialista. Confesso: mi sento coinvolto emotivamente nelle cose che sto per affermare. Si tratta della sinistra calabrese, della cui storia faccio parte e che mi porto dietro con il suo carico di ideali, di sogni delusi, di speranze perdute. Una riflessione amara che, onestamente, mai avrei pensato di dover fare, ma forse, è giunto il momento di dare una mano a chi ancora crede che ci possa essere spazio nella società calabrese e non solo, di una area politica progressista, moderna, e che rimetta al centro la tensione dei valori ideali e morali che oggi sembrano definitivamente perduti. Le vicende di questi giorni intorno alla Giunta regionale, purtroppo, impongono una riflessione che non può più essere rinviata.

 

Un gruppo di potere controlla il Pd

Accantoniamo la vicenda giudiziaria che ha colpito il presidente della giunta regionale della Calabria Mario Oliverio da un punto di vista penale. Anzi, molto probabilmente il profilo penale di questa indagine è destinato a sgonfiarsi, almeno per quanto riguarda la posizione del Governatore. Gli atti dell’inchiesta ripropongono, invece, una questione politica, della quale più volte abbiamo scritto e parlato: la qualità e la deriva di una classe dirigente che da troppo tempo sta condizionando il futuro del centro sinistra in questa regione. È questa la grande e drammatica questione che il Pd ha davanti. La grave responsabilità di Mario Oliverio sta tutta nella conduzione e gestione del potere al di fuori dalle sedi deputate. È paradossale, infatti, che una sorta di cerchio magico al di fuori delle sedi istituzionali e politiche, operi e intervenga attraverso anche relazioni pericolose, decidendo come e quando attivare risorse pubbliche attraverso incontri, messaggi, telefonate. L’andazzo di questa Giunta Regionale, dunque, è discutibile, al di là delle inchieste. La Giunta regionale è stata espropriata e commissariata da un pezzo di corrente interna del Pd. La politica e i consiglieri regionali relegati dentro un Consiglio Regionale esautorato e svuotato dalla propria funzione. La Giunta ridotta ad un gruppo di tecnici senza nessuna autonomia ed autorevolezza di natura politica. L’accorpamento di quasi tutte le deleghe in capo al Presidente.

Il Pd, a questo punto, non solo quello calabrese ma anche quello nazionale, dovrebbe riflettere su questa situazione e assumere iniziative radicali, smantellando un “direttorio”, il quale, impropriamente, detiene tutto il potere di decisione politica. Un convitato di pietra che intorno al Presidente, all’ex consigliere regionale Nicola Adamo, alla parlamentare Enza Bruno Bossio, sta trascinando nel baratro la sinistra calabrese. A ciò, si deve aggiungere poi, il ruolo ancora più improprio che ha assunto la stessa compagna del Presidente Oliverio, che secondo alcune autorevoli fonti, parrebbe che eserciti sull’istituzione regionale un condizionamento e un controllo ingiustificabile su alcuni settori e dipartimenti della cittadella, che vanno dalla cultura, alla fondazione Film Commission, dall’Agricoltura, alla Comunicazione. Forse le cene con i vip di Spoleto oppure le inutili mangiate con 700 tour operator tedeschi a Reggio Calabria sono state concepite dentro questo circuito.

 

Liberate il Pd

A questo punto, se questa classe dirigente volesse essere veramente generosa verso la parte politica che gli ha permesso di avere una sfolgorante carriera nel corso di oltre un ventennio, dovrebbe prendere cappello e andare via. Liberare il campo ad una nuova classe dirigente. Trent’anni di gestione del potere dovrebbero bastare. E, invece, no. Si trama, si forza, si attuano strategie più o meno occulte, per garantirsi altri anni di gestione, e tutto ciò, anche a costo di distruggere tutto quello che altre generazioni hanno costruito in termini di radicamento sociale e politico. Purtroppo, l’attuale classe dirigente calabrese ha dimostrato di essere assolutamente priva di generosità. Si è rivelata assetata di potere e di poltrone. E, intendiamoci, se loro sono sempre là, non è un problema di minore abilità politica da parte degli altri. Questa situazione è stata determinata semplicemente dal fatto che, costoro, tengono in ostaggio un intero partito, controllando tessere, pacchetti elettorali o confezionando primarie farlocche.

L’inchiesta, il giustizialismo, il garantismo, Morra, la Magistratura, con tutto ciò, non c’entrano assolutamente niente.
Lo schema dentro il quale si muove l’azione della Presidenza Oliverio sta tutto in questa paradossale condizione politica. Uno schema che, seppure funziona bene sul piano del controllo interno del Pd, si è tuttavia rivelato un disastro sul fronte della qualità del governo e del consenso elettorale. Ne viene fuori un quadro desolante. Il Pd distrutto. La ramificazione dei circoli un elenco su di un pezzo di carta. Il corpo intermedio dei Sindaci sotto ricatto. A tutto ciò si aggiunga l’assenza di qualsiasi reazione da parte della cosiddetta base del Pd e dai quadri intermedi. Tutto sembra essere avvolto da una tragica rassegnazione. Ciò significa che è stato distrutto il tessuto sociale dentro il quale per lustri la sinistra si è alimentata e ha prodotto i suoi quadri. Un disastro. Un crimine verso la storia costruita da decine, centinaia, migliaia di militanti.


Mario Oliverio è diventato il parafulmine di un quadro di gestione del potere che egli stesso ha determinato e avallato. Parliamoci chiaro, il governatore della regione ha commissariato la politica e il governo, concentrando il potere amministrativo in capo ad alcuni burocrati e trasferendo il centro della decisione politica al di fuori dei collettivi legittimati.
Il partito azzerato. La Giunta di politici resettata. Il gruppo consiliare inattivo. Tutte azioni che, a guardarle oggi, sembrano scientificamente pianificate per consentire ad un gruppo ristretto di persone intorno al Presidente di sostituirsi ai collettivi e agire senza essere disturbati.


Oliverio e l’inchiesta

Il paradosso vuole che per raggiungere questo obiettivo e per ironia della sorte, è stata utilizzata proprio un’indagine della Magistratura, “Rimborsopoli” e che Oliverio, in quel caso, ha utilizzato in chiave giustizialista.
La reazione di Mario Oliverio all’indagine che lo riguarda, dunque, alla luce di ciò, perlomeno risulta incoerente. Non si può essere garantisti con se stessi e giustizialisti con gli altri. Il rischio è la completa perdita di ogni credibilità. La reazione declinata ai microfoni di Rai News24, infatti, è apparsa anche ai più radicali garantisti, eccessiva e fuori luogo e, forse, anche imprudente. E ciò, non perché il Presidente non abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ma perché il ruolo e la condizione gli imporrebbero di farlo nelle sedi deputate e nel rispetto delle istituzioni. Anche nel caso di presunti errori giudiziari. Mario Oliverio non è il primo politico in questa regione e in Italia raggiunto da un provvedimento cautelare. Prima di lui ci sono passati altri, tanti altri, forse molti, e alcuni, dopo aver subito l’onta anche dell’arresto, successivamente sono risultati innocenti nel processo. I suoi compagni di partito Ciconte, Guccione, Scalzo, Barbalace non fecero lo sciopero della fame allorquando, ricevuto un semplice avviso di garanzia, furono rimossi dalle loro funzioni. Nessuno di loro lanciò accuse al Procuratore dell’epoca. Questa doppia morale e questa doppia pesatura dei fatti, già di per sé, risulta fastidiosa. Siamo garantisti e come tali riteniamo che nessuno si dovrebbe dimettere fino al giudizio definitivo. Tuttavia, non possiamo dimenticare che l’istituto delle dimissioni per un avviso di garanzia, in questa legislatura regionale, lo ha introdotto proprio il Presidente Mario Oliverio. A questo punto non possiamo che prendere atto del fatto che il Presidente della Regione abbia due valutazioni etiche e morali differenti, una che vale per sé, e un’altra diametralmente opposta che vale per gli altri.

Apprendiamo che nelle ultime ore, altri dirigenti del Pd nel consiglio regionale abbiano preso la parola per criticare l’inchiesta giudiziaria. Qualcuno ha finanche recuperato la parola che aveva perso in questi mesi, soprattutto per spiegare come mai il Pd abbia subito la più grande sconfitta della sua storia, o per spiegare per quale motivo quel partito non abbia un segretario regionale, uno straccio di commissario che rimettesse in piedi un minimo di ragionamento collettivo e indicasse come fare uscire la sinistra e la Calabria dall’impasse nella quale è stata cacciata, e invece, niente, muti. Gli stessi protagonisti di quel silenzio, oggi prendono la parola per accusare Gratteri di danneggiare l’immagine della Calabria. Un paradosso. Coloro che in silenzio hanno assistito ad una sconfitta elettorale dietro l’altra della sinistra, reagendo al massimo con una alzata di spalle, incapaci di offrire una riflessione, un’analisi della sconfitta, incapaci di un sussulto. Oggi pensano di convincere un opinione pubblica sempre più ostile a questo tipo di sinistra, declinando scemenze sulla presunta immagine rovinata della Calabria, per una inchiesta che, comunque, disvela quello che dovrebbe essere noto a tutti e da tempo: una Pubblica Amministrazione corrotta e subalterna alla ndrangheta. L’immagine della Calabria è stata danneggiata e, forse compromessa per sempre, dall’incapacità della sua classe dirigente a risollevarne le sorti economiche e sociali, una incapacità che, giorno dopo giorno, la sta trasformando in un deserto sociale e morale. Se qualcuno avesse un minimo di ritegno si dovrebbe vergognare di questo tipo di Calabria.

Amici, semplici iscritti, cittadini del Pd, forse è arrivato il momento di accompagnare alla porta una classe dirigente. Fatelo subito, perché ai danni che questa classe dirigente ha già fatto, c’è il rischio che si aggiungano anche parole al vento, prive di senso, come quelle pronunciate nel consiglio regionale, e le parole, alle volte sono più dannose delle azioni. Fatelo per la Calabria, fatelo per la sinistra. Forse c’è ancora tempo per salvare una storia. Forse c’è ancora tempo per salvare un’idea.

Pasquale Motta