Mio nipote ha compiuto 18 anni. In quarantena. Lo scorso novembre era stata la volta di mia figlia. Diciotto anni anche lei. In lockdown. Per entrambi niente festa, niente invitati, niente di niente.

Quando ho fatto 18 anni io c’era il fantasma di Ghostbuster sull’invito. Discoteca. Duran Duran e Spandau Ballet a palla. Separé in penombra a totalizzare la solita quota di baci e mani infilate sotto i vestiti. Il video di Thriller in loop sul maxischermo del locale che andava ancora a Vhs.

Stavolta, così come a novembre, abbiamo fatto 10 minuti di festa “in Dad”. Parenti collegati su WhatsApp in video conferenza, telefoni posizionati alla bene meglio, “Mi senti?”, “Non ti sento…”, “Mi vedi?”, “Non ti vedo…”. Stabilita la connessione, con nonne e nonni tecnologicamente temprati dalla pandemia e pronti a dispensare consigli su come migliorare il collegamento, abbiamo spento le candeline, 18 appunto, tagliato la torta e stappato lo champagne. Nessuno ne ha assaggiato un pezzetto né bevuto un sorso, tranne mio nipote e la mamma, in quarantena anche lei con lui. Abbiamo finto una normalità ormai perduta, ci siamo detti quanto ci manchiamo e ci vogliamo bene, poi abbiamo fatto scivolare il dito sul tasto rosso che chiude la videochiamata. Tutto qua.

Troppo spesso dimentichiamo che il Covid non fa solo morti e feriti. Il Covid ha segnato per sempre una generazione di ragazzi e ragazze che hanno dovuto rinunciare al loro presente senza avere nessuna garanzia sul futuro che li aspetta. La prospettiva che il virus non sparisca, restando a lungo a condizionare le nostre esistenze, si fa spazio giorno dopo giorno nella consapevolezza dei più giovani, di cui abbiamo ignorato colpevolmente gli affanni e le paure, convinti che nello schermo di un telefonino ci fosse tutto quello che volessero e di cui avessero bisogno. E invece no. C’è un turbinio di incertezze che tormenta i nostri figli, dubbi che niente hanno a che fare con i soliti dilemmi esistenziali che chiunque ha dovuto affrontare da adolescente. Ci sono ansie nuove e inedite, oggi alimentate anche dall’egoismo di chi si spende in battaglie medievali come l’opposizione feroce ai vaccini. Una caccia alle streghe che se ne frega del futuro dei nostri ragazzi, delle loro angosce, della loro disperazione spesso stemperata nella consultazione compulsiva di Instagram e Youtube.

Non vedi i più giovani tra i no vax che protestano in strada, non li senti denunciare la cospirazione globale orchestrata dalle Big Pharma, dalla grande finanza, da Soros, dalla Cina e da chiunque e qualunque cosa rientri nel solito armamentario complottista.

Stanno zitti i nostri ragazzi. Subiscono gli eventi di questo incredibile primo ventennio del 2000, iniziato con l’11 settembre e terminato con un microscopico nemico che, al pari dei terroristi, colpisce nel mucchio senza alcuna pietà. E se non ti uccide o mutila, distrugge comunque la tua quotidianità, fiacca la speranza e logora il domani.

Nessuno si è vaccinato senza neppure un filo di apprensione. Tutti, anche i più convinti come il sottoscritto, sono consapevoli dell’eccezionalità di questa campagna mondiale e delle incognite che comunque si porta appresso. Ma l’alternativa, cioè rifiutare il vaccino o addirittura combatterlo, non comporta soltanto il rischio personale di contrarre una malattia potenzialmente mortale, ma pregiudica soprattutto la gioventù dei nostri ragazzi, cioè proprio di chi è meno esposto alle conseguenze devastanti del virus.

Eppure, appena ne hanno avuto l’occasione, sono corsi a vaccinarsi in massa, e continuano a farlo, con una progressione che sta polverizzando quella delle altre fasce di età: il 75% di chi ha tra i 20 e i 29 anni (4,5 milioni di giovani) - riporta il Corriere della Sera - ha fatto almeno una dose, contro il 70% dei 30-39enni e il 73% dei 40-49enni. Altrettanto decisi a immunizzarsi sono i ragazzi tra 12-19 anni, con il 59% (2,7 milioni) che ha già fatto la prima iniezione. Una lezione per chi ancora giustifica il suo No denunciando una fantomatica “dittatura sanitaria”, locuzione facile facile e ricca di suggestioni con la quale si vorrebbe accreditare un’opposizione che non ha nulla a che vedere con la libertà.

«Non si invochi la libertà per sottrarsi al vaccino», ha detto ieri Sergio Mattarella. «Vaccinarsi - ha continuato il Capo dello Stato - è un dovere civico e morale». Vero. Ed è anche un patto generazionale, un modo per aiutare i nostri ragazzi a riprendersi i loro anni e le loro passioni, tutte cose che non torneranno più se sfuggono adesso. Loro hanno fatto una scelta precisa: credere nella scienza e superare ogni timore per salvare il proprio tempo. Siamo davvero così vigliacchi da lasciarli soli in questa battaglia?