La riflessione del Venerdì Santo del vescovo emerito di Noto chiamato da Papa Francesco al vertice delle istituzioni scientifiche del Vaticano. «Le croci da portare ce le dà il mondo, non Dio. La Via Crucis insegna a dare un senso al dolore» (ASCOLTA L'AUDIO)
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C’è una sola cosa che accomuna tutti gli esseri umani, a prescindere da sesso, razza, religione, censo, capacità, sogni: la sofferenza, che «esprime universalmente l’umanità di ogni essere umano, perché siamo dominati dalla nostra umanità, e l’umanità è sofferente e fragile». Una certezza assoluta quella di monsignor Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia, che ci aiuta a capire davvero il significato della Via Crucis e prepararci alla Pasqua.
È uomo di mondo il vescovo emerito di Noto, chiamato da Papa Francesco al vertice della sede delle scienze del Vaticano, fondata più di tre secoli fa con la missione di promuovere il dialogo tra fede e ragione. Monsignor Staglianò ha il mare dentro: sarà perché è nato a Isola di Capo Rizzuto, davanti ad una delle più belle riserve marine del Mediterraneo. È sua la pop-Theology, «possibilità di ripensare e riscrivere la teologia a servizio della gioia del Vangelo». Sono sue le riflessioni che danno un senso nuovo al peso della croce che ciascuno di noi, prima o dopo, è chiamato a portare.
«Dio non manda croci, così come non ha mandato la croce di Gesù. Le croci te le dà il mondo, così come i castighi che tu ricevi te li dà il mondo, non Dio. Perché Dio è infinitamente buono». La domanda delle domande, che ciascuno di noi si è posto almeno una volta: se Dio è infinitamente buono, perché permette che succeda tutto ciò che succede? La risposta è molto semplice, per chi ha praticato riflessioni teologiche, sta tutta nel libero arbitrio ed è alla base della Passione di Cristo.
La domanda invece dovrebbe essere un’altra: «Perché siamo così fragili, così rissosi? Perché ci odiamo invece di amarci? Perché invece di esserci l’amore diffuso c’è piuttosto la guerra?».
Il significato della Crocefissione
«Siccome il mondo dava agli esseri umani troppe croci, e gli esseri umani rischiavano di esserne schiacciati, ecco che il verbo di Dio si fa carne e come essere umano vive il dolore, portando la croce e costituendo sulla terra un modello da cui emana tanta grazia: quando non sopporterai la tua croce sarà pensando alla croce di Gesù che riuscirai a sopportarne il peso». Ma l’animo umano troppo spesso non è pulito: c’è chi pensa di non doverla portare, quella croce, e cerca di addossarla sulle spalle degli altri. Le croci del mondo sono tante, ma hanno un’unica radice: il potere politico, economico e sociale. Ed i sotterfugi di chi cerca di “evadere” dai propri doveri. Certo, portare le proprie croci non è facile. Bisogna imparare a portarla «dal di dentro: la sofferenza va accettata, accolta e offerta, deve essere immedesimata nella croce di Gesù, che può aiutare a salvare le persone. Questa è la via religiosa di una speranza: il mio dolore e la mia sofferenza fuori da questa speranza cristiana è inutile, insensato».
La Via Crucis insegna a dare un senso al dolore
Monsignor Staglianò entra nel personale per spiegare ancora meglio il significato della sofferenza in chiave cristiana. «Mio padre ha sofferto tantissimo. Dolori infiniti, che la morfina non riusciva a placare. Con uno spirito religioso lui riteneva che fosse Gesù a fargli pagare qualche cosa per la sua vita, ma capiva la sproporzione tra quello che stava soffrendo e i suoi eventuali peccati da espiare. C’è un grande spazio di dolore insensato che viene vissuto da esseri umani, incomprensibilmente ci sono famiglie tartassate dalla morte e dal dolore». Lo stesso che per un attimo sembra insopportabile anche a Gesù: «Si capisce quanto è stata drammatica e tremenda la sua morte in quel grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Nel momento della morte per Gesù Dio smette di essere padre ed è soltanto Dio: la morte permette a Gesù di offrire agli umani la grande speranza che viene dalla croce. Perché se tu entri nel ritmo e nello spessore della Croce, nella logica della Croce, vivi già la certezza gioiosa che quel dolore e quella sofferenza sono per la gloria, per la risurrezione, per la vita eterna». Gesù muore nel più grande dolore e contemporaneamente nella più grande gioia «perché vede il diavolo sconfitto, grazie al suo grande dolore: la croce diventa croce luminosa, diventa croce gloriosa».
La Resurrezione
Gesù risorge, ma la Resurrezione non cancella il dolore della Croce. Dice, piuttosto, che «questo dolore è destinato alla risurrezione della vita: tutti coloro che soffriranno così come ha sofferto Gesù “sono con me in paradiso». La fede insegna a cambiare lo sguardo interiore sul tuo dolore: credere nella croce di nostro signore Gesù Cristo vuol dire «sono garantito, sono certo che Dio opera attraverso questo mio dolore, se io lo accolgo e lo offro». Non vuol dire che soffro di meno, ma do un senso al mio dolore, imparo a gestirlo e a comprendere l’essenza della vita. E quindi in me accade una conversione straordinaria».
Finirà la Via Crucis della Calabria?
Ultraterreno, trascendenza, immateriale invisibile si scontrano con la realtà di territori e di persone che devono portare croci più pesanti di altri. La nostra Calabria può sperare in una Resurrezione?
«I vescovi della Calabria, i sacerdoti della Calabria e i cristiani della Calabria stanno lavorando perché risorga l’umanità, anche quell’umanità politica, economica e sociale che sappia interessarsi del bene comune, non degli affari, delle lobby, dei partiti o – Dio non voglia – delle mafie. Risorgerà la Calabria se risorgeranno i calabresi. Dovranno risorgere in ciò in cui devono risorgere tutti gli esseri umani: nella propria umanità. Facciano i calabresi risplendere la bella e buona umanità che hanno dentro: in Calabria c’è un’umanità calda, c’è una grande pietas, forse dovuta anche al fatto che siamo un popolo di sofferenti».
La Calabria con le sue coste potrebbe essere veramente un Eldorado del mondo: non ha dubbi il teologo nato nella Magna Graecia. «Se l’umanità bella e buona di Gesù risorgerà in Calabria, risorgerà ogni cosa: un nuovo modo di lavorare in Calabria, l’imprenditorialità, gli artisti, la nostra bellezza. Dovremmo orgogliosamente mostrare chi siamo: i calabresi nel mondo hanno espresso grande cultura, grande affermazione umana in quasi tutti i settori dello scibile umana. La pasta c’è, il lievito pure. Occorre rimboccarsi le maniche e fare le cose giuste».