I Padri costituenti usarono questo termine «maledetto» nella stesura dell’articolo 3 con piena consapevolezza per condannare definitivamente le leggi razziali. Ecco il dibattito che si sviluppò nel 1947 durante la nascita della nostra Carta
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Oggi si ricorda il 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento e di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau.
Anche da quei tragici eventi nacquero i valori del costituzionalismo contemporaneo (eguaglianza, libertà, dignità) e, quindi, della nostra Costituzione che è antifascista, e non potrebbe non esserlo.
L’antifascismo si fonda anche sul significato che la parola razza assume nel testo costituzionale, nel suo articolo 3 che sancisce il principio di eguaglianza.
Ma come è possibile che proprio nella Costituzione più bella del mondo si trovi un esplicito riferimento a un assunto che è stato scientificamente confutato e sul quale sono state fondate le teorie e le pratiche che hanno portato, alle più indicibili efferatezze della nostra storia? È da qualche anno che antropologi, scienziati e molta parte del mondo politico e intellettuale propongono una puntuale modifica della Carta costituzionale per eliminare il riferimento alla parola razza, a quella parola, cioè, che il Presidente della Commissione della Costituzione Meuccio Ruini appellò come «maledetta».
Il nostro convincimento, invece, è che – seppure consci della ascientificità del termine – questo debba rimanere e non debba essere interessato neanche da una ‘pulizia linguistica’. Anche se si è d’accordo con il padre nobile dei genetisti italiani Cavalli Sforza per cui la teoria delle razze «è insostenibile», non si deve mettere in discussione il primato su qualsiasi asserzione scientifica di quella precisa volontà politica consacrata dal 1947 nell’art. 3 della Costituzione, per la quale «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Perché si arriva a difendere l’uso di una parola sulla quale nel secolo scorso e ancora oggi si fondano odiose discriminazioni e linguaggi d’odio e di violenza?
Non solo perché non basterebbe eliminare una parola per liberarsi dall’ignoranza (è su questa che si fonda la violenza), ma anche perché si ricordano i dibattiti avvenuti in sede costituente e la sintesi di mediazione che nella seduta del 24 marzo del 1947 fu proposta dal Presidente della Commissione per la Costituzione.
Nello Statuto Albertino del 1848 non compariva la parola razza, che appare a livello costituzionale solo nel 1947; quindi la parola è seguente e conseguente alle leggi razziali fasciste, più precisamente al regio decreto-legge n. 1728 del 1938 Provvedimenti per la difesa della razza italiana, a cui fecero seguito documenti come il Manifesto della razza. Da qui, si può affermare che la presenza della parola razza in Costituzione è il prodotto preciso dell’antifascismo e della condanna delle aberrazioni scientemente praticate. Un prodotto coscientemente voluto, tanto che durante i lavori dell’Assemblea costituente non si diede seguito alla proposta emendativa avanzata, oltre che dal monarchico Roberto Lucifero, dall’onorevole Mario Cingolani (DC) che propose di sostituire la parola razza con la parola stirpe, al fine di riferirsi in modo preciso alla tragedia della deportazione degli ebrei.
La proposta fu criticata dapprima da Palmiro Togliatti e, quindi, Renzo Laconi (PCI) – per il quale il riferimento alla razza costituisce un richiamo a un fatto storico che si vuole condannare («Il fatto che si mantenga questo termine per negare il concetto che vi è legato, e affermare l’eguaglianza assoluta di tutti i cittadini, mi pare sia positivo e non negativo») – per poi essere abbandonata del tutto (fu lo stesso Cingolani a ritirarla) grazie alle parole di Meuccio Ruini (Misto), presidente della Commissione dei 75, incaricata dall’Assemblea costituente di redigere la Costituzione: «Si potrebbe apprezzare la parola “stirpe” e preferirla a quella di “razza”, per quanto anche razza abbia un significato ed un uso scientifico, oltreché di linguaggio comune. Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola «maledetta», da questo razzismo che sembra una postuma persecuzione verbale; ma è proprio per reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza e alle funeste teoriche fabbricate al riguardo, è per questo che – anche con significato di contingenza storica – vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze».
Dunque, la parola razza è importante per ricordare; ecco perché è stata preferita, tra l’altro, a quella di stirpe, o perché addirittura si decise di non depennarla. Ne consegue che la parola razza non può essere invocata per discriminare uomini e donne: questo è il senso costituzionale della parola «maledetta». Del resto, la nostra Costituzione è antifascista, dunque la parola razza deve rimanere lì dov’è nella nostra Carta, nel senso costituzionale del termine, a nostro comune memento.
Ricordiamo, nel giorno del ricordo, le parole di Primo Levi («meditate che questo è stato») che ci implora di non dimenticare ciò che è stato perché ciò non sia più, e quella parola ci può aiutare a farlo.
Ecco perché non è opportuno eliminare il termine razza dal testo costituzionale; anzi tale scelta può persino apparire pericolosa, non solo perché verrebbe meno quella sorta di intoccabilità sacrale del testo costituzionale nella sua parte prima e fondante – persino nell’articolo che ne rappresenta l’architrave –, ma anche perché il suo significato ci fa comprendere ciò che la Costituzione con cristallina chiarezza vuole vietare.
Le proposte che spingono (paradossalmente) per un vuoto di tutela (con la secca eliminazione del lemma) ovvero per una sostituzione nominalistica possono persino apparire «velleitarie e superficiali», così come ha scritto la più autorevole costituzionalista italiana Lorenza Carlassare, proprio perché il significato che il termine razza ha assunto nel linguaggio fascista va lasciato con tutto il peso, terribile e odioso, di cui la storia l’ha caricato, e che da 75 anni ci ricorda (in modo prescrittivo) che nessuno può essere discriminato per motivi razziali, pur consci che le razze umane non esistono.
La Costituzione non è solo un bilancio su ciò che è stato, ma è anche un programma su ciò che dovrà essere, e il razzismo è espunto dal nostro futuro anche prescindendo dalla (in)fondatezza scientifica di un termine, il cui impiego si deve a fondate ragioni politiche e costituzionali. Una legge che riconoscesse la differenza razziale non solo sarebbe tacciata di a-scientismo, ma sarebbe dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale per violazione diretta dell’art. 3 della Costituzione. Quindi, la forza costituzionale dell’antirazzismo non vale solo per il passato (la memoria che è nella Costituzione-bilancio) ma anche per il futuro, per la futura legislazione (l’inveramento ordinamentale che è nella Costituzione-programma).
*costituzionalista Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania” - UniCal