Inizia oggi una carrellata di cinque storytelling di nativi degli anni ‘90, fuori sede per necessità più che per scelta. Si parte col ricercatore classe ‘93 con un dottorato alla Sorbonne
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Un decennio di emmoragie giovanili. In Calabria se ne sono andati 162mila ragazzi negli ultimi vent'anni. Andati via per non tornare più, se non durante le feste comandate. Sono i millennials, la generazione emigrata. In queste cinque interviste, daremo voce ad alcuni di loro rientrati per le feste.
La storia di Matteo Leta, ricercatore universitario giramondo
Matteo Leta ha 31 anni, è un ricercatore universitario di letteratura italiana. Allievo di Nuccio Ordine, ha ottenuto una borsa di ricerca (MSCA Cofund) biennale che coinvolge l'Università di Warwick e quella di Cergy. Dopo il dottorato in Francia, alla Sorbonne, ha avuto diverse esperienze di insegnamento e ricerca tra Italia ed estero, toccando città come Dublino, Berlino e Toronto. Ora è nel Regno Unito, a Coventry, ma non per molto ancora. «Da febbraio a luglio, credo, sarò in Francia per la seconda parte del dottorato», ci spiega. A Cosenza, Matteo ha fatto sia la triennale sia la magistrale: 110 e lode due volte in cinque anni, tempi rispettatissimi senza negarsi amicizie e passioni. «E il Cosenza. Soprattutto il Cosenza», ci dice sorridendo. E dopo?
Da Cosenza a Parigi... E ritorno?
«Per parlare di quello che è successo dopo – spiega sorridendo Matteo – bisogna dare un po' di contesto. La ricerca in ambito umanistico, almeno per la mia esperienza, è abbastanza precaria e può imporre tutta una serie di spostamenti». Spostamenti che Matteo ha attraversato. «Sono andato all'Istituto Italiano per gli Studi filosofici a Napoli, a Berlino in un centro di ricerca sulla storia della scienza (MPIWG, ndr), a Toronto al Dipartimento di Italianistica, l'anno scorso ero a Dublino e poi a Treviri per una borsa estiva e ora sono qui a Warwick». Ma non mancano i periodi di nulla. «Questa non è solo la mia storia, ma anche quella di gran parte delle persone che conosco». Un ambiente in cui la battaglia, purtroppo, è d'obbligo. «Un'amica una volta mi disse che sarebbe interessante fare un curriculum delle borse di ricerca o dei posti che non si vincono. Questo - continua Matteo Leta - ti fa capire che non è semplice avere del tempo più o meno breve, più o meno lungo, per fare quello che vorresti e sviluppare il tuo progetto di ricerca».
L'amore per il Cosenza e il ritorno a casa
Matteo Leta è tornato per Natale, ma pronto a ripartire. E tornerebbe mai a Cosenza? «Dipende: a fare il mio mestiere o qualcosa che mi piace? Sì, domani, volentieri, certo! Poi potrei vedere il Cosenza dal vivo, vuoi mettere?», dice ridendo. La passione per i Lupi lo tiene ancorato alla propria terra. «È un legame viscerale che aiuta a sentirsi ancora parte della tua città».
E un Natale lontano da Cosenza? «Non lo so, presumibilmente sì. Il me bambino ovviamente direbbe di no, perché c'erano delle tradizioni da rispettare. Il 24 sera andavo a giocare con mio padre e gli amici, poi si andava a casa e si faceva la cena con i parenti. Una giornata onestamente molto bella. Però sono fasi della vita che finiscono». Per tutti, evidentemente. Anche se non è giusto. E proprio per questo a Matteo è venuta un'idea. «Siamo abituati a pensare a quello che succede come un'emorragia, ma in fondo è qualcosa che si ripete: prima di noi sono partiti i nostri bisnonni e i nostri nonni». Da qui l'idea di «un podcast per raccontare le nostre storie e le mille vite di chi se ne va». Per dare voce a chi, spesso, non ne ha.