Salvatore Scaramuzzino è andato via dopo la laurea, è ingegnere biomedico esperto in tecnologie digitali, a proposito delle quali dice: «Non abbiamo investito per formare i giovani che avrebbero dovuto gestire il cambiamento»
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Salvatore Scaramuzzino è calabrese. Come tanti anche lui ha lasciato la Calabria. «La mia è una normalissima famiglia come tante da Locri che per garantire una maggiore stabilità ai propri figli, a metà degli anni ’90 lascia (per la prima volta) la Calabria. Papà ragioniere in una tipografia, mamma con una piccola attività commerciale. Una sorellina. Nonostante una rete familiare che garantiva comunque le condizioni minime, ho poi capito che l’orgoglio di “fare da sé” dei miei genitori è stato più forte del radicamento alle abitudini. Oggi sono un fortunatissimo marito e papà di Alice, di quasi tre anni che adoro».
È un ingegnere biomedico. Direttore ff Sc Sistema Informativo Azienda Zero Piemonte e dirigente Ss Tecnologie Biomediche Aou Maggiore della Carità di Novara.
Ma cosa rimane dentro della Calabria ad un calabrese che ha dovuto lasciare la sua terra? «Le immagini dei luoghi banali ma che amo, un albero, un vicolo, i ricordi dell’infanzia belli, quelli spensierati e anche qualche brutto ricordo degli anni ’90».
Salvatore Scaramuzzino in realtà ha lasciato due volte la Calabria. «Sì, una a fine anni ’90 con i miei genitori, papà aveva subito la crisi della ditta per cui lavorava ed è partito per avere una migliore stabilità, noi l’abbiamo seguito subito dopo. Poi sono tornato per gli studi, innamorato del progetto visionario di Germaneto del compianto professor Salvatore Venuta. Poi a fine studi, realizzando che il servizio sanitario regionale mal digeriva questi ragazzi formati in quel contesto meraviglioso, ho cominciato a girare l’Italia per trovare le mie possibilità di crescita. Fortunatamente le ho trovate abbastanza vicino a dove, 20 anni prima le avevano trovate anche i miei genitori».
Magari un giorno deciderà di tornare in Calabria… «Sarebbe una scelta difficile, dipenderebbe dalle condizioni, ma in generale penso di sì. Lo farei anche per dare la possibilità, magari per un tempo limitato a mia figlia di vivere in Calabria».
Scaramuzzino è ingegnere esperto in tecnologie digitali per la sanità, transizione alla modalità digitale, in particolare nella gestione e digitalizzazione dei processi clinici ecc. ecc. Oggi si parla molto di Sanità. La crisi è profonda. Il rischio è che davvero possa saltare il Ssn, vanto del nostro paese nel mondo. «Il Ssn già oggi è saltato, a mio avviso, le sacche di “resilienza” del servizio pubblico si poggiano su “pochi ‘eroi’ che sopperiscono alle mancanze dei ‘molti’».
Il settore non ha ancora visto completarsi la digitalizzazione. Le procedure sono sempre più lente. La crisi è profonda. «Come Sistema 10 anni fa non abbiamo investito per formare giovani gestori del cambiamento, le esperienze coraggiose come quella appunto del compianto professor Venuta a Germaneto, in Italia si contano sulle dita di una mano».
L’abbandono del personale della sanità pubblica (per migliori stipendi nel privato e all’estero) rischia di far crollare l’intero sistema. «Lo sperimentiamo ogni giorno, l’ipocrisia del “risparmio” del pubblico, fa sì che il Ssn debba acquistare sul mercato le stesse professionalità che potrebbe acquisire (fidelizzandole) come dipendenti e quindi come investimento del lungo periodo».
La telemedicina potrebbe segnare una svolta. Ma anche qui non siamo ancora messi bene. «Anche in quel caso sono poche le persone nel Ssn che hanno le giuste competenze per gestire il cambiamento, finché non investiremo in risorse umane di qualità ci lasceremo sfuggire le opportunità che questo bel mondo in evoluzione ci fa intravedere. Pnrr compreso, per il quale, anche per le piccole cose da gestire dobbiamo produrre tanta di quella documentazione che anche chi ci chiede di produrla, spesso, non sa spiegarci del perché sia necessaria se non che “è scritto così”. La mortificazione più grande, a mio avviso, per un professionista, è fare le cose e perdere il senso del “perché”».