Non c’è nulla di più radicato nella religiosità popolare della Via Crucis. Una religiosità che diventa civile, territoriale, a volte generazionale, perché nelle sofferenze di Cristo spesso noi calabresi (e in generale noi meridionali) troviamo le nostre di sofferenze.

La religiosità affonda nella nostra cultura, spesso è distinta dalla fede e per questo riesce ad abbracciare credenti e non credenti. Papa Paolo VI scriveva che «essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo». Ed è partendo da questa concezione di religiosità popolare che approdiamo alla Via Crucis della Calabria per proporre ai nostri lettori un’inchiesta sulla condizione dei calabresi che ogni giorno vivono un personale calvario ma che – come diceva Paolo VI – sono capaci di generosità e sacrificio fino all’eroismo. Un’inchiesta in 14 storie, in 14 tappe come le Stazioni della Via Crucis, che raccontano persone in carne e ossa che portano con dignità la propria croce sui percorsi della sanità calabrese – che a volte da noi assomiglia a un inferno – della povertà, della disoccupazione, della precarietà, della solitudine, di chi è costretto a lasciare la propria terra e i propri cari per disperazione, di chi i propri cari li ha persi per sempre per mano della ‘ndrangheta.

Inizieremo domani queste 14 tappe, queste 14 stazioni che corrispondono ad altrettante storie di vita vissuta. Non ci saranno banchi d’accusa, saranno i fatti raccontati ad esigere risposte, ad esigere giustizia, solidarietà, capacità di essere presenti come Stato e come consesso civile.

In ogni provincia della Calabria troveremo famiglie che camminano sul filo, che viaggiano sempre al limite: da un lato la sopravvivenza, dall’altro il baratro della povertà. Interi nuclei attaccati a una pensione, di vecchiaia o di invalidità, oppure al sostegno attivo delle associazioni di volontariato. Famiglie con malati che è difficile gestire in assenza di un aiuto pubblico, anziani che muoiono di solitudine e che diventano un peso per i parenti.

A proposito di inferno sanità, seguiremo il cammino di chi è costretto ad andare fuori per curarsi e per chi non ha la possibilità di fare una semplice analisi in Calabria senza attendere mesi e mesi. L’alternativa è pagare, per chi non ne ha la possibilità è sperare che il ritardo nelle analisi non segni la differenza tra la vita e la morte. E parleremo anche di interi centri in cui è vietato ammalarsi per l’assenza di ospedali raggiungibili in breve tempo e per l’assenza di strutture mediche per un primo intervento. Non dimenticheremo chi di sanità – anzi di malasanità – è morto: storie che chiedono giustizia, che hanno segnato irrimediabilmente l’esistenza di chi è sopravvissuto alla morte dei propri cari.

Poi c’è il capitolo del lavoro. Di chi il lavoro (duro) ce l’ha, ma ha uno stipendio così basso da essere povero. E di chi il lavoro ce l’ha ma precario: senza copertura previdenziale, senza assicurazioni, in un eterno tempo indeterminato con la sola certezza di non arrivare mai alla pensione. Ancora, c’è il calvario di chi cerca perennemente un lavoro senza trovarlo. In questa situazione costruire una famiglia, fare figli, mantenerli, pensare a un futuro diventa impossibile.

Non mancherà nella nostra Via Crucis della Calabria in 14 stazioni l’approfondimento sui migranti, su questi uomini, queste donne e questi bambini che scelgono di venire da noi di passaggio oppure da noi per vivere, e spesso finiscono per morire in mare. E non mancheranno la rabbia e la voglia di riscatto di chi ha perso un familiare per mano mafiosa: sono i fine pena mai innocenti, che porteranno per sempre le stimmate della perdita violenta di una persona amata.

Da domani, Domenica delle Palme, fino alla Domenica di Pasqua, due storie al giorno: 14 storie, 14 stazioni nell’inchiesta “La Via Crucis della Calabria”, con degli extra sul tema. Per riflettere insieme, per chiedere a chi ha voce di dare una risposta.

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