FOTOGALLERY | In viaggio sulla “strada della morte” dall’Alto Ionio cosentino a Reggio, sorvegliati a vista da autovelox che impongono limiti di velocità di 60 chilometri orari: tra mare, centri abitati e pericoli costanti (ASCOLTA L'AUDIO)
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Sette ore, imprevisti esclusi. Tanto ci vorrebbe per andare da un capo all’altro della Calabria percorrendo la Statale 106. Condizionale d’obbligo, perché è un percorso che nessuna persona sana di mente farebbe mai. A meno di avere la curiosità di toccare con mano tutte le storture che ne fanno una delle strade più pericolose d’Italia. Con tempi di percorrenza così forzatamente lenti che invece di andare avanti sembra di andare indietro, in alcuni casi indietro di anni, di decenni. Fino a quegli anni Venti che la 106 l’hanno partorita e che hanno lasciato più di un’impronta.
Una “superstrada” che di super ha solo le multe che ogni tanto arrivano se il piede – per distrazione o esasperazione – pigia sull’acceleratore quel tanto in più che basta a superare limiti di velocità inconcepibili per un’arteria del genere e che in alcuni tratti si attestano a 50-60 all’ora. Limiti di velocità da centri abitati. E certo, perché la 106 ingloba pure quelli: case, negozi, bar, ospedali (o quel che ne resta), scuole… In due parole: vita quotidiana. Caffè e cornetto e qualche camion che ogni tanto ti inchioda in attesa a bordo strada. Una strada inopportuna, così viene da definirla.
Fiori e croci sul guardrail
Gli autovelox osservano minacciosi, gli automobilisti si adeguano e vanno a passo d’uomo e la questione sicurezza sembra risolta. Dice altro, però, la sequela di fiori e croci – di foto in qualche caso – che punteggia il guardrail da un lato all’altro. Racconta di quanto sangue questo asfalto ha bevuto, giovane e meno giovane: figli di genitori mai più in pace con la vita e genitori di figli costretti al peso dell’assenza. Sangue ingurgitato impietosamente sotto la luce del sole o al buio di lampioni che non esistono.
E quando un’auto spunta all’improvviso da una curva a velocità sostenuta, sulla tua stessa corsia ma nel senso di marcia opposto e riesci a rimettere l’altro guidatore al suo posto trovando chissà dove la freddezza di battere la mano sul clacson – e il suono è lo stesso delle parole (irriferibili) che ti si formano in testa in quel momento – ci pensi. Pensi: chissà se qualcuno avrebbe messo dei fiori per me sul guardrail. E intanto senti il sangue che ricomincia a scorrerti nelle vene e il tremore che piano piano lascia il posto a una presa più ferma, e stringi le dita al volante come se questo bastasse a tenerti ancorato qui, a questo mondo. Nonostante tutto, nonostante i pericoli come quello appena scampato, nonostante la 106.
La vita quotidiana sulla 106
Quando anche il respiro torna regolare ricominci a guardarti intorno: i portoni delle abitazioni sulla 106, la piazza di paese sulla 106, la signora con la spesa sulle strisce pedonali sulla 106, l’anziano signore col cagnolino al guinzaglio sulla 106. Un intero pezzo di Calabria spalmato sulla 106. Ma certo c’è il mare che in qualche modo ti riconcilia con questo mondo fuori dal mondo, e pezzi di cuore sparsi qua e là per chi è cresciuto da qualcuna di queste parti. E intanto la strada si allunga e sembra non finire mai. Dall’Alto Ionio dell’infinito e contestato terzo megalotto all’antica Sibari attraversata proprio nel mezzo, passando per Corigliano-Rossano e poi giù verso sud. Cariati, Crucoli e Cirò Marina si stampano sui finestrini. Arrivano e passano. La provincia di Cosenza lascia il posto a quella di Crotone.
Attraversi, col fiato sospeso, una gimcana di curve e poi la strada, all’improvviso, la vedi meno ostile. La carreggiata si allarga mentre una dopo l’altra sfilano le antiche cantine che hanno portato questo pezzo di Calabria sulle tavole d’Italia. Si prosegue verso la famosa “città di Pitagora”. Grandi spazi aperti da un lato, la zona industriale dall’altro con il mostro dell’ex Pertusola Sud, il simbolo di una velleità di industrializzazione che quaggiù doveva portare il progresso e invece ha portato la morte. La mente va alle “Black Mountains” all’ombra delle quali si è consumato un delitto lungo anni contro questo territorio. Guardi i palazzi sulla strada, pensi al cemento che è stato impastato con i veleni industriali.
Carreggiata doppia… ma dura poco
A riconciliarti con tutto, ancora una volta, arriva la doppia carreggiata. Ma dura poco. Poi entra in scena la provincia di Catanzaro e l’emozione ritorna. Verrebbe quasi da dire che la strada è davvero super. Si fa appena in tempo a pensarlo, però, perché la 106 perde l’asfalto ma non il vizio. E così ritornano ponti e ponticelli con il marchio del secolo scorso, fatti di una carreggiata ristretta all’inverosimile, dove l’unica cortesia concessa al viaggiatore è il cartello che annuncia il senso unico alternato. Mentre la lunga Statale ricomincia a sventrare paesi e paesini, a violentarne la quotidianità.
Ed eccoci sul tratto finale: provincia di Reggio Calabria. La signora in bicicletta che ad Ardore spunta all’improvviso in mezzo alle auto e quasi ti finisce sotto le ruote ti strappa l’ennesima espressione colorita. La Locride meriterebbe di essere guardata da una panchina, o da una sdraio sulla spiaggia. Invece devi guardarla dalla 106. E proprio non riesci a volerle bene per quel traffico, la vita fuori dal tuo viaggio, che spinge la meta più in là. Ma sì che siamo quasi arrivati, ti dici a Bruzzano Zeffirio, guardando uno dei rari treni che risalgono la costa. Ma sei davvero quasi arrivato solo quando, dopo essere venuto meno al primo comandamento della strada che recita “guarda avanti” per ammirare la manona di Pentedattilo alla tua destra, avvisti la Sicilia in lontananza. La centrale di Saline Joniche sulla sinistra e di fronte il mare. Finalmente, Reggio, quartiere Pellaro. Sigla e titoli di coda: il viaggio è concluso, la curiosità esaurita, la luce del giorno c’è ancora e si torna su. Ovviamente prendendo l’autostrada.