Nato a Rogliano, diventò apprezzato dirigente del Partito comunista italiano di Roma. Subì terribili torture e fu assassinato dai tedeschi il 24 marzo 1944 con altre 334 persone
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Esistono tante “via Bendicenti”, tante scuole, fondazioni e istituti che portano questo nome. Ma pochi conoscono Donato Bendicenti, nato a Rogliano (Cosenza), il 18 ottobre 1907 e morto a Roma il 24 marzo 1944. Ucciso dai nazisti. Era entrato nella Resistenza in nome di un’Italia libera e democratica.
Donato Federico Maria (registrato così allo Stato Civile) era di famiglia piuttosto agiata dal punto di vista economico-sociale, colta e politicamente impegnata.
Sin da giovane, Donato Bendicenti si dimostrò sensibile agli ideali democratici e ai valori della giustizia e della libertà, grazie anche all’esempio del padre, Giacinto, nativo di Serra Pedace. Dopo la laurea in Legge, decise di rimanere a Roma per esercitarsi alla professione di avvocato. Tuttavia il legame con la Calabria non venne mai meno, tanto che spesso tornava nella sua Rogliano dove, nella farmacia di famiglia, incontrava gli antifascisti locali che si riunivano in clandestinità. Aderì al Partito comunista italiano di Roma, divenne un apprezzato dirigente, ed era costretto a muoversi e operare in segreto. Molte le minacce ricevute, tanti i rischi ai quali si esponeva. Basti pensare che le riunioni della Direzione nazionale del Partito comunista si tenevano presso la sua abitazione.
Donato Bendicent, i dopo l’ 8 settembre 1943, aderì alla Resistenza antifascista, impegnandosi attivamente nella “Banda del Trionfale”. Diversi erano i giovani calabresi entrati in clandestinità. Le cose andarono bene fino al 3 marzo 1944, quando inaspettatamente fu arrestato proprio durante la riunione della Direzione nazionale del Partito comunista nella sua abitazione romana. Portato in carcere a Regina Coeli, subì perfino dure torture. Non ebbe alcun dubbio, rimase sempre profondamente antifascista, non si piegò alle minacce del Regime. Il 24 marzo 1944, all’indomani dell’attentato di via Rasella, fu trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine, con altre 334 persone.
Disse di lui Giorgio Amendola, dirigente nazionale del Partito comunista italiano: «E poi il compagno Bendicenti, fucilato alle Fosse Ardeatine anche lui. La sua abitazione in via dei Gracchi, era stata scelta, nella nuova riorganizzazione del lavoro del centro, come sede di incontri per la direzione. Bendicenti aveva ricevuto l’ordine di spezzare i contatti con i membri del Comitato di agitazione antifascista organizzato tra gli avvocati di Roma, a Palazzo di giustizia. Così ci trovammo, il giorno 3 marzo 1944 nella sua abitazione Scoccimarro, Pellegrini e io. Dovevano venire anche Novella e Negarville, che non arrivarono per un disguido della convocazione. Trascorso un breve periodo, proposi di uscire (!). Un po’ bruscamente interruppi Scocci e lo persuasi ad uscire. Dieci minuti dopo tornò a casa Bendicenti. Egli si era incontrato al Palazzo di giustizia, malgrado le direttive di cautela che gli avevamo dato, con altri avvocati, e specialmente con un compagno del Pd’A, che era sotto stretta sorveglianza. Così, dopo poco, seguendo Bendicenti, arrivarono le SS e lo arrestarono».
I suoi compagni di partito – ricorda Antonio Guarasci, primo presidente della Regione Calabria, anche lui di Rogliano, così scrissero: «Onorò la toga con la luce dell’ideale per il quale lottò e si spense. Ebbe il culto sacro dell’amicizia. Amò la famiglia. Con affetto vigile e premuroso di padre e di sposo indimenticabile. Cadde alle Fosse Ardeatine vittima degli oppressori nazi-fascisti. Eroe di quella fede per la quale oggi gli amici ne ravvisano orgogliosi il Ricordo».
Donato Bendicenti, avvocato, Medaglia d’argento al valor militare, alla memoria, con questa motivazione: “Lungamente interrogato, nulla rivelava. Sacrificato alla rappresaglia tedesca, cadeva per gli ideali di libertà di Patria che aveva sempre nobilmente servito”. Dopo la Liberazione, a questo Martire delle Fosse Ardeatine, la città di Cosenza ha intitolato una via.