Il 24 luglio 2019 si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro. Rosy Andracchio di Crotone è la più piccola con i suoi 24 anni. Nel marzo del 2020 viene abilitata d’ufficio, così come migliaia di altri colleghi. Scoppia un’epidemia che poi sarà ben presto definita dall’OMS pandemia globale. L’Italia entra in lockdown totale e il giorno dopo l’avvenuta abilitazione, Rosy risponde a una manifestazione di interesse pubblicata dall’Asp per l’arruolamento di medici Usca (Unità Speciale di Continuità Assistenziale). Su tutta la provincia di Crotone rispondono in 17, si presentano in 11, accettano in 9 e cominciano a lavorare in 7, tra cui Rosy, l’unica donna. Il compito del gruppo era quello di visitare e trattare i pazienti Covid positivi presso il proprio domicilio, con un confronto continuo con i medici di base.

Nel suo libro Rosy racconta decine di episodi capitati a lei e al suo gruppo di lavoro, in un territorio complesso e in una situazione drammatica, casa dopo casa, con la loro Panda d’ordinanza, spesso anche lungo tratti di strada fatti a piedi. Un gruppo di medici che ha vissuto direttamente momenti drammatici, che Rosy racconta con grande cura per i particolari, con drammaticità e anche con tenerezza. È la vicenda umana e professionale di una giovane dottoressa calabrese che si è trovata improvvisamente, non appena laureata, ad operare nel pieno di una catastrofe mondiale. 

Un giovane medico che con i suoi colleghi ha fronteggiato il virus e tutte le sue tragiche conseguenze, con coraggio e tanto senso del dovere. Decine gli episodi raccontati. Ma ce n’è uno in particolare che colpisce. Ed è una storia d’amore e di vita, mentre dappertutto regna la paura.

La storia di Carlotta

«Carlotta, 17 anni, si era beccata il virus al compleanno di una sua compagna di classe che aveva organizzato un party nonostante le restrizioni non lo permettessero. Carlotta fu visitata nella sua cameretta in presenza della propria mamma, donna distinta e discreta. Occhi da cerbiatta, gambe lunghe e capelli ricci; mi complimentai per quanto fosse bella. Finita la visita, chiesi di restare da sola con Carlotta, giustificandomi con la necessità di eseguire un test psicologico al quale dovevo sottoporla vista la giovane età. Restammo sole, chiesi a Carlotta di abbassare la mascherina e fare un bel respiro profondo. Sapeva bene di cosa avrei voluto parlarle. Quando Carlotta aprì il cassettone per prestarmi una penna, il mio sguardo seguì le sue mani affusolate, ed è per questo che tra i tanti fogli e oggettini di vario genere, i miei occhi si spalancarono alla visione di un test di gravidanza dall’esito positivo. Una volta comode e a debita distanza, Carlotta si mise a piangere ingoiando le sue stesse lacrime, così da far meno rumore possibile. La sua frequenza cardiaca era incredibilmente aumentata e il viso le si era arrossato, come quando a una bimba di pochi mesi viene negato qualcosa, o peggio ancora, come quando viene allontanata dalla propria mamma.

Mi avvicinai a lei, mi inginocchiai e le presi i polsi. Mi feci raccontare la sua bella storia d’amore e pian piano i lacrimoni cessarono di cadere. Mi confessò di averlo detto solo al suo fidanzato e che nessuno ancora sapeva nulla. Carlotta era in panico e di certo le costrizioni alle quali era sottoposta, poiché affetta da Covid, non l’aiutavano. Mi confessò che una volta presa la maturità, lei sarebbe voluta andar via dalla Calabria, sarebbe voluta divenire un architetto e avrebbe voluto fare molti viaggi, non solo per divertimento, ma anche per prendere spunto dai vari architetti del mondo. Oltre a ciò, temeva di deludere i propri cari. Era soprattutto questo che le stava regalando notti insonni. Quando fui finalmente io a prendere la parola, dissi a Carlotta che avevo pochi anni più di lei, o che comunque mi sentivo ancora una ragazzina, e oltre a sentirsi libera nel parlare con me, doveva sentirsi libera nel fare le sue scelte. La bellezza della vita è proprio il fatto che è imprevedibile. Siamo abituati a credere che seguire un certo ciclo voglia dire trovarsi nel giusto, mentre chi si discosta da questi binari, tracciati da noi, poveri esseri imperfetti, è considerato sbagliato o fuori tempo. L’imperfezione è bellezza e nessuno di noi al mondo è perfetto. C’è chi a trent’anni ancora non sa cosa vuole fare da grande, c’è chi a cinquanta cerca di avere il suo primo figlio e c’è chi a quaranta è già nonno.

“Carlotta, tu devi essere felice.” Dissi a Carlotta che avrebbe potuto fare qualsiasi scelta, purché l’avesse fatta seguendo il suo cuore, consapevole che la vita non è un copione da seguire, ma un palcoscenico sul quale si sale per stupire e stupirsi. Le lasciai il mio numero di telefono e le dissi che nel caso avesse voluto comunicarlo alla sua famiglia in mia presenza, mi sarei precipitata da lei senza alcun problema. Salutai la mamma e la rassicurai sul benessere psicofisico della figlia.

Tre giorni dopo Carlotta mi scrisse: “Mia mamma ha detto che ogni nuova vita che viene al mondo è un piccolo miracolo. Dottoressa, l’imperfezione è bellezza. Grazie”».

Tratto da “Oltre l’armatura”, un racconto intimo e intenso di chi, in prima linea, a bordo di una Panda bianca per i paesi dell’entroterra calabrese, ha trovato tante difficoltà nell’essere riconosciuta come un medico e non come una “signorina”, solo perché donna troppo giovane. Narra le difficoltà riscontrate per l’ignoranza dei vicini di casa di un paziente positivo al Coronavirus. I limiti riscontrati e l’adattamento necessario introdotto per superarli. La bellezza del sud che si rialza dopo un’alluvione che ha visto cadere pioggia ininterrottamente per quaranta ore. Il primo soccorso prestato agli sbarchi di migranti e a pazienti con disabilità gravissime. Narra le emozioni provate, dalla paura alla pura gioia.