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giovedì 26 settembre 2024 | 15:01
Cronaca

Narcotraffico - Processo Crypto, il pg Vincenzo Luberto chiede la condanna dei rosarnesi e dei cosentini imputati - NOMI - Notizie

Ieri la requisitoria del sostituto procuratore generale di Reggio Calabria che ha ricostruito l'indagine della Dda reggina. Nel mirino il gruppo Cacciola-Certo-Pronestì e il presunto broker di Amantea Francesco Suriano

di Antonio Alizzi

Confermare tutte le condanne della sentenza di primo grado. È stata questa la richiesta del sostituto procuratore generale di Reggio Calabria, Vincenzo Luberto, rappresentante della pubblica accusa nel processo “Crypto”. Parliamo del rito abbreviato della maxi indagine antimafia della Dda di Reggio Calabria contro una presunta associazione a delinquere dedita al narcotraffico operante in Europa e in Italia. Ieri si è svolta la requisitoria nell'aula della Corte d'Appello di Reggio Calabria.

Il gruppo Cacciola-Certo-Pronestì

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, sarebbe stata costituita una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, guidata dal gruppo Cacciola-Certo-Pronestì e attiva nella piana di Gioia Tauro, con ramificazioni in Sicilia e, in particolare, nella provincia di Cosenza. In quest'area, come vedremo, spicca la figura criminale di Francesco Suriano, considerato il promotore della cellula operante nel territorio cosentino. Dalle indagini è emerso che questa struttura riforniva gran parte della provincia, in particolare la città di Cosenza, grazie al legame di Suriano con Roberto Porcaro, all’epoca “reggente” della cosca "Lanzino-Patitucci" di Cosenza.

Riguardo al gruppo di Rosarno, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il giudice del rito abbreviato ha affermato: «Le prove emerse consentono di confermare pienamente l'accusa formulata dal pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria al capo A dell’imputazione, in quanto è stata accertata l'esistenza di un'associazione per delinquere dedita al traffico di stupefacenti. Questa organizzazione, ben strutturata, operava a Rosarno e si avvaleva di diverse diramazioni distribuite sul territorio italiano. Queste, dopo essersi rifornite di ingenti quantità di droga dal gruppo rosarnese, provvedevano poi a distribuirla nei mercati locali o ai loro acquirenti abituali».

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«Il materiale probatorio complessivamente esaminato - scrive il giudice del processo abbreviato svoltosi a Reggio Calabria - permette di aderire pienamente alla tesi accusatoria formulata al capo A dell’imputazione, confermando con certezza l’esistenza di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti. Questa organizzazione criminale, ben strutturata e composta da individui con competenze allarmanti, disponeva di canali di approvvigionamento e distribuzione, dimostrando una notevole abilità nella gestione degli affari illeciti. I membri, con ruoli specifici e ben definiti, erano tutti accomunati dalla stessa cointeressenza criminale».

La base operativa a Rosarno

Secondo il giudice di Reggio Calabria, «le prove raccolte consentono di sostenere pienamente l’accusa della Dda al capo A, dimostrando l’esistenza di un’associazione per delinquere dedita al traffico di droga, ben organizzata, con base a Rosarno e ramificazioni in varie zone d’Italia. Questi gruppi, riforniti dal sodalizio rosarnese di ingenti quantità di stupefacenti, provvedevano poi alla distribuzione sui mercati locali o verso clienti abituali». Alcune difese sostenevano che le prove, al massimo, evidenziassero l’esistenza di singoli gruppi criminali che, pur operando nei rispettivi territori, si collegavano occasionalmente per rifornirsi o vendere droga. Tuttavia, questa tesi difensiva non ha trovato riscontro nel processo di primo grado, nemmeno sull'aggravante della transnazionalità, che ha comportato un aumento delle pene per tutti gli imputati.

Non solo cocaina

Secondo il giudice, «è stata accertata l’esistenza di un’organizzazione criminale articolata, dedita con continuità al traffico di stupefacenti, inclusi cocaina, marijuana e hashish, dotata di mezzi sofisticati come telefoni criptati, veicoli modificati per il trasporto illecito e sistemi di comunicazione cifrati. L’organizzazione era composta da diversi membri con ruoli specifici: dai corrieri ai responsabili dell’approvvigionamento anche internazionale, fino a chi si occupava della distribuzione, della custodia della droga e degli organizzatori e finanziatori delle operazioni illecite».

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I rapporti dei rosarnesi con altri gruppi

«Il fulcro centrale di questa associazione - si legge nel provvedimento - era la cellula di Rosarno, guidata dai fratelli Certo, Bruno Pronestì e Giuseppe Cacciola, che, grazie a canali di rifornimento dall’estero (come dimostrano i contatti con Alcantara e gli Stelitano), importava regolarmente ingenti quantità di stupefacenti. Questi venivano trasportati via terra fino a Rosarno e successivamente distribuiti ad altri gruppi criminali operanti in varie aree del Paese, come Amantea, Torino, Catania e Siracusa, per lo smercio nei mercati locali».

L’uso delle SIM card tedesche

«A rafforzare ulteriormente l’accusa - spiega il giudice nel processo abbreviato "Crypto" - vi è il sistema di comunicazione utilizzato dai membri dell’organizzazione per pianificare le attività illecite, basato sull’invio di messaggi scritti con codici numerici intricati. Questo sistema, sofisticato e privo di spazi tra i codici, ha richiesto un lungo lavoro di decifrazione da parte delle forze dell'ordine. L’uso di tale metodo complesso dimostra l’esistenza di un legame stabile tra i gruppi criminali coinvolti, che operavano con modalità professionali e ben collaudate. Inoltre, l’utilizzo di SIM card tedesche, che permettevano comunicazioni "citofoniche" tra Rosarno e altre località italiane come Rivoli, Amantea, Paola e Catania, costituisce una prova significativa della solidità dell’accusa. Queste SIM card, tutte di origine rosarnese e differenziate solo per le cifre finali, venivano spesso attivate simultaneamente, confermando l’unicità della matrice criminale».

Il ruolo chiave di Francesco Suriano

Secondo il giudice Giovanna Sergi, che ha presieduto il processo a Reggio Calabria, «il materiale probatorio» fornito dalla Guardia di Finanza, anche riguardo alla posizione di Francesco Suriano, «ha permesso di considerare fondata l’accusa mossa all’imputato al capo A dell’imputazione, essendo emersa una stretta alleanza affaristica tra i rosarnesi, l’imputato e il gruppo da lui diretto nel traffico di stupefacenti. Le sostanze, ottenute dalla cellula di Rosarno, venivano poi destinate all’alto Tirreno cosentino, in particolare la costa tirrenica e la provincia di Cosenza, fino ad arrivare in alcune zone della Valle dell’Esaro, per la distribuzione nelle aree di Amantea e dintorni».

I rapporti con i rosarnesi

Il giudice Sergi ha ritenuto «accertato che Francesco Suriano, proveniente dal territorio cosentino e nipote diretto di Tommaso Gentile (leader della cosca omonima e, durante la prima fase delle indagini, detenuto), aveva approfittato dell’assenza dello zio per consolidare il proprio peso criminale. Sfruttando il vuoto creatosi, aveva costruito una propria rete di approvvigionamento e, in generale, un’organizzazione composta da complici accomunati da interessi legati al traffico di droga, dimostrando un’elevata efficienza e professionalità», si legge nelle motivazioni della sentenza.

«Oltre alle prove raccolte riguardo ai singoli episodi contestati, a confermare le attività illecite dell’imputato vi sono anche le sue stesse parole. Durante conversazioni con i fratelli Certo e con Bruno Pronestì, Suriano faceva infatti riferimento ad alcuni affari legati alle pasticche di MDMA, comunemente note come ecstasy, che egli chiamava MDM, dimostrando di avere una certa competenza nel trattarle». La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha calendarizzato le discussioni delle difese. La sentenza è prevista per fine gennaio 2025.

Processo Crypto, i nomi degli imputati