L'associazione ha consultato i dati delle Agenzie regionali per la protezione ambientale. Le indagini dell'Arpacal tra 2021 e 2023 evidenziano notevoli livelli di inquinamento da Pfas: «Il quadro che emerge è grave e potenzialmente espone a rischio migliaia di persone»
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Circa il 60% del pescato delle acque del Santuario dei Cetacei, lungo la costa della Toscana, è contaminato da Pfos (acido perfluorottansolfonico), un composto classificato come possibile cancerogeno appartenente al gruppo dei Pfas (composti poli e perfluoroalchilici, pericolosi per la salute umana). La stessa contaminazione in pesci e crostacei pescati nei mari della Calabria. Lo rivelano i dati che Greenpeace Italia ha ricevuto da Arpat, l'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, e da Arpa Calabria, dopo una richiesta di accesso agli atti.
Queste evidenze, spiega una nota, seppur relative a una sola molecola delle oltre 10mila appartenenti al gruppo dei Pfas, indicano una contaminazione fuori controllo che espone i consumatori a queste pericolose sostanze. Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023 sui pesci nelle acque marino-costiere e di transizione, principalmente cefali, in alcuni casi sono emersi valori molto elevati. In un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia (Grosseto) è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilo. Livelli molto alti sono stati rilevati nei pesci lungo la costa pisana, alle foci dell'Arno e del Fiume Morto (5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo). Contaminazioni di gran lunga superiori alla soglia settimanale tollerabile per il consumo umano fissata dall'Efsa.
Anche le indagini effettuate da Arpa Calabria tra il 2021 e il 2023, si spiega ancora, evidenziano notevoli livelli di contaminazione di Pfos in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica. Alcune cicale di mare superavano il limite di 3 microgrammi per chilogrammo considerato sicuro per il consumo umano previsto dal Regolamento europeo 2022/2388. Viceversa le analisi effettuate dall'Arpa del Friuli-Venezia Giulia nel 2021 dimostrano l'assenza dell'unico Pfas monitorato (anche in questo caso il Pfos) nei pesci dell'alto Adriatico, anche se queste indagini si limitano a un numero ridotto di campioni e non possono confermare la totale assenza di rischi.
Per Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, «i monitoraggi sul pescato dimostrano che i Pfas arrivano sulle nostre tavole. Pur trattandosi di dati parziali e limitati a una sola delle oltre 10mila molecole appartenenti al gruppo dei Pfas, il quadro che emerge è grave e potenzialmente espone a rischio migliaia di persone. Questi risultati confermano l'urgenza di vietare l'uso e la produzione dei Pfas».