Il torneo riservato a dieci nazioni dell’Europa centrale. L’Italia in campo con due formazioni olimpiche. Nella nostra regione la prima scuola
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Ad Isola di Capo Rizzuto la Mitropa Cup 2018, competizione riservata a dieci nazioni dell’Europa Centrale (Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Italia, Slovacchia, Slovenia, Svizzera e Ungheria) giunta alla 36ª edizione. L’Italia onora il ruolo di padrone di casa presentando due formazioni “olimpiche”, formate da diversi big sia nella sezione Open (Daniele Vocaturo, Luca Moroni, Sabino Brunello, Michele Godena e Alessio Valsecchi) che in quella Femminile (Olga Zimina, Elena Sedina, Desiree Di Benedetto, Daniela Movileanu e Tea Gueci). Capitani Arthur Kogan e Carlos Garcia Palermo. Nel torneo Open i turni di gioco sono nove (girone all’italiana) con cadenza 90’+30’+30″.
Il gioco degli scacchi nacque in Calabria
I Calabresi fondarono una vera e propria scuola; il teorico più importante fu Marco Aurelio Severino, nato a Tarsia il 2 novembre del 1580 che scrisse importanti testi sia storici che dottrinari e manuali pratici studiati poi per secoli. Sconfessò l’ipotesi di Palamede inventore degli scacchi, ma soprattutto riassunse il pensiero del gioco in “La Filosofia e il perché degli scacchi.” Ma lui, come tutti gli accademici, non ebbe mai una grande abilità pratica. Quelli che furoreggiavano provenivano da classi più umili, e con cervelli più scaltri. Come Michele Di Mauro (il primo dei “Calabresi”), divenuto famoso in seguito alla sfida con Rosces, il grande campione spagnolo, che sconfisse dopo una partita memorabile durata due giorni al quale il poeta Savio dedicò un sonetto. Il Di Mauro, dopo una carriera esaltante, si ritirò a Grotteria ricco e carico di gloria. Nel 1524 nacque invece Leonardo Di Bona, detto “Il Puttino”, vero talento dal gioco spumeggiante, le cui sfide con Paolo Boi detto il Siracusano entrarono nella storia. In seguito, catturato dai corsari saraceni, vide a poppa del veliero una scacchiera e riuscì a provocare la curiosità del capo che lo sfidò. Così non solo riscattò la sua libertà, ma anche quella del fratello e numerosi altri e alla fine se ne tornò libero con bel gruzzolo in tasca. Il “Puttino” inventò anche l’arte della stangata, fingendosi scarsissimo contro un tale Mocciaccio, tipo gradasso e offensivo, a cui però alla fine portò via settecento scudi e a cui inviò dopo una lettera nella quale raccomandava di non prendersi gioco dei forestieri per evitare “che da uccellatore fusse rimasto uccellato”. Nel 1575, alla presenza di Filippo II Re di Spagna sconfisse in una epica contesa il campionissimo Rosces (già sconfitto dall’altro calabrese Di Mauro, ma tornato in auge), venne riccamente ricompensato e ottenne l’esenzione dalle tasse per vent’anni del suo paese natio, Cutro.
Il più forte giocatore calabrese però fu probabilmente Gioacchino Greco, detto appunto “Il Calabrese” che, giovane di umili condizioni, apprese dai Gesuiti l’arte degli scacchi, e poi girò per tutta Europa passando di vittoria in vittoria, sconfiggendo Nobili e Vescovi, campioni e professionisti incalliti. Pubblicò inoltre un trattato molto apprezzato, nel quale teorizzava il gioco d’attacco e le aperture a sorpresa: una specie di Crujff dei suoi tempi. Dopo aver sconfitto tutti i migliori d’Europa Gioacchino, come tutti i campioni, suscitò numerose antipatie e critiche; così nel 1634 si trasferì ricco e beato nel Nuovo Mondo, e non se ne ebbero più notizie. Probabilmente è sepolto ai Caraibi, in qualche paradiso naturale.
Nel settecento fu la volta di Luigi Cigliarano, prete cosentino, seguito da decine di appassionati che si arricchirono puntando su di lui nelle tournée europee, e poi di Ludovico Lupinacci, uomo freddo “contro il costume dei calabresi” che contro una superstar francese mise in pratica la stangata ideata dal compaesano Puttino, perdendo le prime cinque partite ma stravincendo alla fine con tanto di beffa. La “Scuola Calabrese” conobbe un rapido declino nella seconda parte del settecento, fino quasi a venire dimenticata. A ricordarcela ci ha pensato un breve ma bellissimo saggio di Giovanni Sole, docente di Storia delle Tradizioni Popolari a presso l’Università della Calabria, dal titolo ”Cavalieri Erranti – fortuna e declino degli scacchi in Calabria”.