«Appena saputo quello che è successo, ho pianto tutta la giornata». Ha ancora gli occhi lucidi e la voce rotta dall’emozione Gesualdo Albanese, ex compagno di squadra ma soprattutto grande amico di Paolo Rossi, l’eroe del Mondiale ’82 scomparso ieri al termine di una lunga malattia. Rientrato da qualche anno nella sua Caulonia, dove allena in una scuola calcio, non ha mai rotto i legami con Vicenza, nella cui squadra guidata da Gibì Fabbri all’inizio della gloriosa stagione ‘76-‘77 doveva essere il centravanti titolare. Ma proprio quell’anno in biancorosso arrivò in prestito dalla Juventus un giovanissimo “Pablito”.

«Lui era un ragazzino, io avevo già 29 anni – racconta - Alla prima giornata siamo andati ad Avellino dove abbiamo vinto 2-0 con una sua doppietta. Poi 3-0 in casa contro il Catania con tre suoi gol. Andava così forte ed era un piacere vederlo giocare che io iniziai a fare solo tanta panchina. Era venuto a fare l’ala destra – rivela Albanese - ma grazie ad un’intuizione di Fabbri, maestro di un calcio davvero moderno per l’epoca, è riuscito a diventare il campione che tutti hanno conosciuto e ammirato. Non era un calciatore normale. Era troppo intelligente per capire come andava a finire l’azione e buttare dentro il pallone».

In quel Vicenza precursore del 4-2-3-1 Albanese divenne dunque la riserva di Rossi, ma fuori dal campo il rapporto tra i due era più stretto che mai. «Ci siamo frequentati sempre – dice - e per anni ogni Natale andavano in un ristorante insieme ad altri giocatori e compagni di squadra protagonisti di quella fantastica impresa».

L’ultimo contatto soltanto poco tempo fa: «Lo avevo chiamato a luglio perché un giornalista canadese mi chiese di fare da tramite per un’intervista. Mi ha risposto con un messaggio che stava poco bene e doveva sottoporsi ad un intervento in ospedale. Tutto quello che in questi giorni si dice di lui è vero – conclude Gesualdo - era davvero un ragazzo eccezionale».